domenica 30 gennaio 2011

Kuala Lumpur, un inaspettato mix culturale

La vera grande sorpresa di Kuala Lumpur sono stati i kuala lumpuriani che si contraddistinguono dai malesiani. A KL vivono quasi due milioni di abitanti e a convivere con i malesiani vi sono in prevalenza cinesi e indiani. Vi sono poi numerose comunità di nuovi immigrati dalle aree meno ricche dell’Est asiatico come Bangladesh e Filippine a cui vengono affidati i lavori i kuala lumpuriani si rifiutano di fare. Specie nell’edilizia in piena espansione in questa metropoli: è facile incontrare cantieri aperti di grattacieli in costruzione e questa particolarità mi ha ricordato molto la ricca Shanghai.

Kuala Lumpur ha tutte le caratteristiche che una metropoli deve avere per poter competere con quelle americane o cinesi: le Petronas Tower, la Monorail, la Menara Tower sono attrazioni che fanno concorrenza a città ben più conosciute dell’Asia.

Diverso lo scenario incontrato nell’isola dei granchi, Pulau Ketam, a un’ora di traghetto e una di bus da KL. Un originale villaggio di pescatori costruito interamente su palafitte di legno la cui testimonianza sono le barche arenate sul fango per via della bassa marea in attesa di solcare il tranquillo mare della Malesia, o gli abitanti indaffarati nella pulizia dei gamberi sulle terrazze davanti a casa. Questo è lo spettacolo che si incontra passeggiando sui punti di legno sorretti da tronchi d’albero, decisamente diverso dalla metropoli di KL.

I restanti due giorni nella capitale malesiana non ci siamo fatti mancare nulla: abbiamo visitato il Bird Park, la più grande voliera del mondo con circa ottocenti uccelli che svolazzano liberi, ci siamo fatti fare un bel trattamento ai piedi dal doctor fish, una vera moda spa del paese; abbiamo mangiato sul ristorante girevole della Menara Tower e fatto colazione nel famoso Pasar Baru Bukit Bintang, meglio conosciuto come Imby Market, dove si possono trovare tutte le specialità della tradizione malesiana e cinese. La cucina prevalente è soprattutto quest’ultima, per la gioia di Richi.

Non ci siamo fatti sfuggire una visita nella Little India di KL, tra i profumi delle spezie che si mescolano a quelli delle decorazione floreali mostrate elegantemente sui banchetti per strada, assaggiando i frutti esotici venduti a cubetti nei sacchettini di plastica o infilati nei bacchetti di legno come spiedini. Forse per via del mio recente viaggio in Cina e della permanenza di Richi, abbiamo apprezzato meno la China Town di KL ma il riso fritto accompagnato dal Jasmine Tea nel ristorante cinese più antico della città ci ha conquistato. Stessa cosa di può dire però dell’hamburger e mojito del reagge bar a pochi passi da ChinaTown.

Kl è questo a mio giudizio: un mix di culture dove modernità, tradizione e religioni si mescolano e convivono pacificamente. Nella stessa strada si possono trovare: moschee, templi Indu, templi buddisti e chiese cristiane in perfetta sintonia l’uno con l’altra e nel rispetto reciproco esattamente come la donna coperta sotto il Burqa passeggia a fianco di una in gonna corta e maglietta scollata.

Nove giorni e tre stati

Il mio dicembre nel Sud Pacifico: scambiarsi regali di Natale davanti alle Petronas Tower , trascorrere Santo Stefano nelle splendide spiagge di Bintan e accogliere il 2011 sulla Marina Bay di Singapore.

Come ogni partenza, anche questa è stata preceduta da un insostenibile sensazione di agitazione: le dodici ore da sola in aereo, lo scalo ad Amsterdam, l’incontro con Richi al KL International Airport. Ogni volta la stessa incontrollata emozione, piacevole nel ricordarla dopo ma incompresa nel mentre. Se ripenso alla sera prima del volo: ore e ore a rigirarmi nel letto a fantasticare su quel viaggio, in un mix di impazienza e ansia che fa sembrare la notte infinita. E invece poi è un attimo quello che passa dai sogni ad occhi aperti nel letto, ormai totalmente spiegazzato per quel continuo girarsi e rigirarsi, al ritrovarsi catapultato nel posto immaginato e le ore trascorse in aereo, in confronto, sono secondi. Preziosissimi, come l’istante in cui vedi lui in coda allo sportello immigrazione nell’attesa del timbro sul visto turistico mentre tu stai esplodendo dalla voglia di abbracciarlo e ripensi a quanto è stupido quel girarsi e rigirarsi. È li che inizia la vacanza, quando finalmente mi sento liberata da quel peso di agitazione che mi imprigiona fino a quando sono insieme a lui. A quel punto scatta un altro modello di agitazione: quello di vedere più cose possibile, lottando con il tempo a disposizione. Nove giorni nel nostro caso, alla scoperta della Malesia, dell’Indonesia e di Singapore.

sabato 22 gennaio 2011

Le altre donne - di Concita De Gregorio

Osservo le ragazze che entrano ed escono dalla Questura, in questi giorni: portano borse firmate grandi come valige, scarpe di Manolo Blanick, occhiali giganti che costano quanto un appartamento in affitto. È per avere questo che passano le notti travestite da infermiere a fingere di fare iniezioni e farsele fare da un vecchio miliardario ossessionato dalla sua virilità. E’ perché pensano che avere fortuna sia questo: una valigia di Luis Vuitton al braccio e un autista come Lele Mora. Lo pensano perché questo hanno visto e sentito, questo propone l’esempio al potere, la sua tv e le sue leader, le politiche fatte eleggere per le loro doti di maitresse, le starlette televisive che diventano titolari di ministeri.
Ancora una volta, il baratro non è politico: è culturale. E’ l’assenza di istruzione, di cultura, di consapevolezza, di dignità. L’assenza di un’alternativa altrettanto convincente. E’ questo il danno prodotto dal quindicennio che abbiamo attraversato, è questo il delitto politico compiuto: il vuoto, il volo in caduta libera verso il medioevo catodico, infine l’Italia ridotta a un bordello.

Sono sicura, so con certezza che la maggior parte delle donne italiane non è in fila per il bunga bunga. Sono certa che la prostituzione consapevole come forma di emancipazione dal bisogno e persino come strumento di accesso ai desideri effimeri sia la scelta, se scelta a queste condizioni si può chiamare, di una minima minoranza. È dunque alle altre, a tutte le altre donne che mi rivolgo. Sono due anni che lo faccio, ma oggi è il momento di rispondere forte: dove siete, ragazze? Madri, nonne, figlie, nipoti, dove siete. Di destra o di sinistra che siate, povere o ricche, del Nord o del Sud, donne figlie di un tempo che altre donne prima di voi hanno reso ricco di possibilità uguale e libero, dove siete? Davvero pensate di poter alzare le spalle, di poter dire non mi riguarda? Il grande interrogativo che grava sull’Italia, oggi, non è cosa faccia Silvio B. e perché.

La vera domanda è perché gli italiani e le italiane gli consentano di rappresentarli. Il problema non è lui, siete voi. Quel che il mondo ci domanda è: perché lo votate? Non può essere un’inchiesta della magistratura a decretare la fine del berlusconismo, dobbiamo essere noi. E non può essere la censura dei suoi vizi senili a condannarlo, né l’accertamento dei reati che ha commesso: dei reati lasciate che si occupi la magistratura, i vizi lasciate che restino miserie private.

Quel che non possiamo, che non potete consentire è che questo delirio senile di impotenza declinato da un uomo che ha i soldi – e come li ha fatti, a danno di chi, non ve lo domandate mai? - per pagare e per comprare cose e persone, prestazioni e silenzi, isole e leggi, deputati e puttane portate a domicilio come pizze continui ad essere il primo fra gli italiani, il modello, l’esempio, la guida, il padrone.

Lo sconcerto, lo sgomento non sono le carte che mostrano – al di là dei reati, oltre i vizi – un potere decadente fatto di una corte bolsa e ottuagenaria di lacchè che lucrano alle spalle del despota malato. Lo sgomento sono i padri, i fratelli che rispondono, alla domanda è sua figlia, sua sorella la fidanzata del presidente: «Magari». Un popolo di mantenuti, che manda le sue donne a fare sesso con un vecchio perché portino i soldi a casa, magari li portassero. Siete questo, tutti? Non penso, non credo che la maggioranza lo sia. Allora, però, è il momento di dirlo