domenica 20 marzo 2011

Un ponte con l'Africa

Parola ai medici, psichiatri, esperti di economia e finanza italo-africani che hanno incontrato i le istituzioni e cittadini genovesi. Passato, presente ma soprattutto futuro dell'Africa e un obiettivo comune: "costruire un ponte" che colleghi le due culture, solido e resitente le cui basi siano determinate dalla conoscenza, stima reciproca e dalla collaborazione.

Un confronto tra l'Italia e l'Africa in un incontro tra istituzioni della città e associazioni africane per "costruire un ponte" tra le due sponde che si affacciano sul Mediterraneo. Un tavolo di incontro e confronto sui temi caldi che tornano a far discutere con i recenti fatti come immigrazione, rivendicazione di diritti, cittadinanza, discussi con chi ne è esperto.

"Un ponte con l'Africa" è il tema del dibattito che si è tenuto alla Sala di Rappresentanza di via Garibaldi 9, organizzato dal Comune di Genova e l'Associazione MABOTA. "Con" e non per l'Africa, riporta il titolo dell'evento, "perchè questo ponte deve essere costruito insieme dall'incontro delle culture e sostenuto dalle differenze", introduce Maria Rosa Biggi presidente Commissione Politiche dell’Immigrazione del Comune. Ieri a Genova, come in tutta Italia, si è festeggiato il 150° dell'Unità d'Italia. Cinquanta anni fa, gli stati africani festeggiavano l'indipendenza dal colonialismo europeo. Due grandi date per due paesi che sempre più si avvicinano, e non solo in termini territoriali. Gli africani che risiedono in Italia da molti anni ne sono la dimostrazione ed è compito del paese sostenerli per affrontare insieme questo percorso, è quanto emerge nel corso dell'evento. A sostegno di questa affermazione Jean Claude Lemba, presidente dell'Associazione MABOTA sottolinea la necessità di un dialogo tra le culture augurandosi che questo sia solo il primo di altri incontri tra le comunità africana residente a Genova e le istituzioni comunali e regionali.

Con il passato storico del continente africano si entra nel cuore dell'incontro: il post colonialismo, l'indipendenza degli stati africani ma anche il futuro di quei paesi e la necessità di grandi cambiamenti. "Uno degli errori più grandi che i paesi occidentali hanno commesso è stato l'aver lasciato scoperta l'Africa di personale qualificato nei settori politici, amministrativi, finanziario ed economici. Errore che si è aggravato con la conseguente politica degli aiuti", sostiente il dottor Jacques Botembe - medico chirurgo della Croce Rossa Italiana e studioso del continente africano, che aggiunge: "l'Africa ha ricevuto quattro volte i fondi di sostegno dagli americani rispetto all'Europa dopo la seconda guerra mondiale. L'incapacità di gestirli con investimenti e la corruzione prevalgono su questi aiuti che sono diventati per l'Africa un'entrata permanente". E conclude: "L'Africa ha bisogno di creare un mercato interno indipendente per crescere nei settori dei trasporti, della sanità, della formazione, imparando dgli stati occidentali ma avviando lo sviluppo in maniera indipendente".

Lo conosce bene questo aspetto il dottor Francis Sietchiping Nzepa, medico chirurgo ed esperto di economia e finanza con un master alla Bocconi che presenta al pubblico l'esistenza di un ambizioso progetto chiamato "Banca etica della diaspora africana" invitando i presenti in sala ad unirsi a quei cinquemila africani che ne hanno permesso l'avvio. "Gli africani possono sostenere il costo per lo sviluppo del continente nero attraverso il trasferimento dei soldi", afferma il dottor Nzepa. "Una sorta di Western Union africana, che si autogestisca e finanzi, sulla scia dell'esperienza della Banca Etica di Padova". Secondo il dottor Nzepa è solo attraverso una banca degli africani che si potranno realizzare progetti economici di sviluppo del paese attraverso fondi di garanzia volti a finanziare le imprese locali, investendo per la propria economia senza l'intervento degli stati occidentali e senza l'ostacolo dei governi locali corrotti. inoltre con una propria money transfer i costi di trasferimento verranno ridotti al minimo e reinvestiti per lo sviluppo".

Progetti reali e concreti, presenti e futuri quelli si sono affrontati nel corso del lungo dibattito dove oltre ai temi di finanza, economia, si è parlato anche di integrazione, diritti, cambiamenti che possono essere percorsi insieme tra istituzioni e rappresentanti delle comunità africane. Genova, città che si affaccia sul mediterraneo, mediatrice tra le culture vuole avere un ruolo chiave nella costruzione di questo ponte e lo ha dimostrato con questo incontro, primo di una serie che si terranno in questo anno, 150° dell'Unità d'Italia e 50° anniversario dell'indipendenza africana.

venerdì 18 marzo 2011

Festeggiare, senza dimenticare il 25 aprile

Perchè è giusto festeggiare l'Unità d'Italia raccontato ripercorrendo i fatti e le caratteristiche del movimento popolare che ha determinato il processo di riunificazione. Parola a Alberto Mario Banti, massimo studioso di questo periodo storico.

il 17 marzo 1861 a Torino veniva dichiarata l'Unità d'Italia. 150 anni dopo in una sala del Maggior Consiglio stracolma si ripercorrono le cause i motivi che hanno portato alla costruzione di uno stato unitario. A narrare i fatti è uno dei massimi studiosi del Risorgimento italiano, il professore Alberto Mario Banti, dell'università di Pisa che descrive il movimento "popolare" e politico dal quale è scaturito il nostro futuro di cittadini italiani.

Un movimento di massa dalle dimensioni significative per il numero di adesioni che l'hanno costituito. Illumina sulle caratteristiche di questi patrioti, giovani dai baffetti radi e le gote rosa, fieri nelle loro camicie rosse e delle loro armi. Perchè il risorgimento italiano è anche e soprattutto un movimento militare, il che spiega la predominanza di giovani di varia estrazione sociale, la maggior parte proveniente dal contesto urbano. Manovali, operai o scaricatori di porto delle classi popolari ma anche proprietari terrieri, intellettuali, nobili perchè a fare il risorgimento italiano è stato un popolo guidato da un obiettivo comune: l'unità. Non è una questione economica la nascita del Risorgimento. A spingere una massa di persone non sono stati gli interessi della borghesia e le loro questioni economiche ma una spinta ideale dettata da forti passioni, e qualche interrogativo.

Monarchica o repubblicana? federalista o non federalista? erano alcuni dei grandi questioni che riguardavano il futuro degli italiani. Decisioni politiche, giuridiche, economiche, religiose che fossero comuni da nord a sud. Si deve molto allo Statuto Albertino che ha gettato le basi per fare dell'Italia uno Stato di diritto, laico dove tutti "i rignicoli" sono uguali davanti alla legge, sottolinea il professore. Aspetti modernizzanti rispetto agli altri regni come il Granducato di Toscana, il Regno delle Due Sicilie o lo Stato Pontificio. Si contrappongo però a questi, il plebiscito che in quegli anni veniva limitato solo al 2% della popolazione, quella ricca e intellettuale, e lo negava ai poveri e alle donne.

Descritto come "assai mortificante" invece il pensiero dominante nei confronti di quest'ultime, anch'esse patriote di quel movimento, il cui diritto ereditò dal Codice di Napoleane "l'autorizzazione maritale", assai meno moderno insieme a molto altro rispetto allo Statuto Albertino.

Anche la Chiesa ha avuto un ruolo nel processo di unificazione e non solo spirituale, rappresentata nella persona di Papa Pio IX, amico e poi nemico di questo movimento. E se i valori religiosi cristiani erano fondamentali per i patrioti lo erano anche quelli del "sangue e del suolo" che ha guidato e supportato l'intero movimento. L'essere pronti a sacrificarsi per la propria terra, la propria patria, racchiude una concezione aureo religiosa fondamentale per guidare una massa di persone pronte al sacrificio della propria vita. Valori che hanno superato periodo cupi come la grande guerra e che si sono ripetuti nella storia del nostro paese, basti pensare a "Cuore" di De amicis e al nazionalismo dell'era fascista.

Chiude con una riflessione lo storico: "è bello e giusto festeggiare il 17 marzo, per ricordare come si costruisce uno stato moderno ma è anche giusto festeggiarlo solo per un anno e poi restituirlo al Risorgimento. Quello che a cui non dovremo mai rinunciare di festeggiare è il XXV aprile e il 2 giugno elmenti cardini che fondano la Repubblica d'Italia rappresentato da quella bellezza unica e rara che è la nostra costituzione che ci rende tanto orgogliosi".

mercoledì 16 marzo 2011

Il regista de "Il gioellino" risponde al suo pubblico

Dopo il successo de "La Ragazza del Lago" Andrea Molaioli torna nelle sala cinematografiche raccontando il crac Parmalat. Presentato questa sera alla Sala Sivori, dopo la rappresentazione, il regista ha risposto alle domande dei presenti. "Il gioiellino non è un'inchiesta giornalistica sul crac della Parmalat ma è una ricostruzione delle vicende costruite attraverso il punto di vista dei suoi protagonisti". A raccontarlo è il regista Andrea Molaioli che questa sera, ha incontrato il pubblico della Sala Sivori a seguito dalla rappresentazione del film.


Reduce dal successo de "La ragazza del Lago" che gli ha conferito dieci David di Donatello al Festival del Cinema di Venezia del 2008, l'ex assistente di Nanni Moretti, ha risposto alle domande di Francesca Baroncelli, giornalista di Mentelocale che l'ha accompagnato sul palco della Sivori, e a quelle di un pubblico che l'ha accolto con un sentito applauso a dimostrazone del gradimento del film.

"Il Gioellino nasce dal desiderio di capirci di più su quella che è stata una delle crisi finanziarie dai risvolti drammatici per il nostro paese, facendola raccontare dai suoi artefici", racconta il regista che svela come l'idea di realizzare questo film ebbe inizio nel Tribunale durante una delle udienze sul caso Parmalat. Il bisogno di soddisfare la curiosità sulla grande truffa del latte ha guidato il regista a svolgere ricerche sui libri, sugli articoli usciti sul caso e interviste ad alcuni degli esponenti per avere un quadro più o meno completo per descrivere la creazione del fallimento dell'azienda di Collecchio. Perchè è sul concatenarsi di vicende che hanno fatto affondare la Parmalat che si concentra il film, che non vuole essere un'inchiesta giornalistica ma la presentazione di come si sono svolti i fatti raccontati direttamente dalle stanze del potere, descivendone l'atmosfera e i sentimenti di chi ne è stato protagonista. Ecco allora la spiegazione del perchè nel film non emerge il punto di vista di chi l'ha subita la truffa, i risparmiatori italiani, in risposta alla domanda di una ragazza presente in sala, o del perchè la linea di demarcazione tra finzione e realtà sia davvero sottile. Ci tiene a sottolineare, Andrea Molaioli come il film sia una sintesi dell'enorme quantità di materiale complesso e come il riferimento ai fatti e alle persone sia molto forte.

Lo dimostrano la bravura dei due attori protagonisti, Toni Servillo nel ruolo di Ernesto Botta, ragioniere presso la ditta agro-alimentare della famiglia Rastelli e Remo Girone, l'imprenditore che si è fatto da se a colpi di latte, calcio e viaggi esotici, "che interpreta con abilità il ruolo di un uomo che si è arricchito terribilmente ma che parla dei soldi come se fossero un male". Un uomo piacevole, rassicurante, ma che può diventare malefico. Ed è sulla figura di Calisto Tanzi, ex Presidente della Parmalat che emerge una lieve critica rivolta al regista da un signore del pubblico, secondo il quale, la figura di questo personaggio sia stata assottigliata così come la sua famiglia esce generosamente dal film. Il regista dimostra con il supporto di esempi tratti dalle scene come invece vengano rivelati gli aspetti più oscuri dei comportamenti scorretti di questo personaggio, specie nella parte finale.

domenica 13 marzo 2011

"Ritorno ad Haifa" raccontato dai protagonisti: Eva Cambiale e Carlo Orlando

In scena al teatro Hop Altrove di Piazza Cambiaso dal 10 al 12 marzo con "ritorno ad Haifa", le impressioni, i sentimenti del regista e attore Carlo Orlando e dell'attrice Eva Cambiale della Compagnia Teatrale Narramondo.

Da cosa deriva la scelta di proporre un'opera di Ghassan Kanafani, scrittore, giornalista e attivista palestinese?
Carlo: "Ritorno ad Haifa" testo di Ghassan Kanafani è stato allestito la prima volta dalla nostra "Compagnia Narramondo" nella prima versione realizzata da Francesco Feola per essere poi reinterpetrato da me e Eva nel 2008 in occasione della ricorrrenza del 60° anniversario della Nakba". Eva: "Anniversario che ricorda anche la Fondazione dello Stato d'Israele e molto meno la catastrofe causata dalla pulizia etnica dei Palestinesi". Carlo: "siamo tornati a G. Kanafani anche perchè Nicola Pannelli, fondatore e presidente della società Narramondo, aveva messo in scena "ingannati" un altro romanzo di Kanafani, autore considerato dalla nostra compagnia come un grande narratore della cultura araba, per certi versi poeta, perchè la sua scrittura è ricca di immagini, di descrizioni guida per un regista".

Mentre noi siamo a teatro a rivivere la tragica esperienza di un padre e di una madre ci sono persone che quella tragedia la stanno vivendo. Come vi sentite di fronte a tale considerazione?
Carlo: "Ascoltando questa storia a teatro, ogni spettatore porta con se un pezzo di paternità, un sentimento di essere profugo o un figlio abbandonato o in conflitto con la propria cittadinanza. il nostro intento, e quello di narramondo è quello di far riflettere senza l'ambizione di cambiare la coscienza del nostro pubblico. Il teatro ha il compito di portare il pubblico dentro a storie come quella descritta da Ghassan Kanafani perchè nella loro attualità sono antiche ed universali. Proporre tematiche come quello della guerra nella fattispecie quella del conflitto di Israele-Palestinese può aiutarci a capire cosa sta accadendo in altre parti del mondo riportando il cuore a questo problema di etnicità che ci coinvolge ogni giorno".

Carlo Orlando, un padre Said, una donna sterile, ebrea con una tragedia alle spalle Miriam e un figlio abbandonato, Kaldun. Eva Cambiale, Saifa una moglie che ha perso casa e figlio, e Said il marito. Due attori e quattro personaggi è questo il Teatro di Narramondo?
Eva: "direi più che il teatro narramondo è raccontare e interpretare in un totale estraniamento tra i personaggi. Dentro e fuori, continuamente. Racconti quello che fa Said e lo interpreti come se fosse un gioco. Certo, in quanto donna, ho sentito mia l'interpretazione di Saifa, vivendo le sue emozioni come se fossero mie. Interpretare Said ha richiesto più impegno e sacrificio e la stessa cosa sono scura che valga per Carlo". Carlo: "abbiamo diviso i ruoli secondo una logica precisa: donna/uomo, palestinese/israeliano mescolado le inerpretazioni con la narrazione.

Il ticchettio costante che accompagna la rassegna teatrale è il segno del tempo che scorre, degli attimi che separano Said a Saifa dall'attesa?
Carlo: "In realtà è l'elemento che accompagna la semplicità scenografica. il suo ruolo è principalmente quello di racchiudere la rappresentazione quando avviene nell'ambiente domestico. Mi fa piacere però che tra il pubblico sia emersa questa nuova chiave di lettura del ticchettio inteso come elemento che scandisce il tempo. Questo dimostra quanto la rappresentazione teatrale lasci abbastanza spazio all'interpretazione personale".

Chi comanda è il cervello, parola di Patrick Haggard

Il nostro cervello sa quello che andremo a fare con un anticipo di circa 200 millesecondi prima di quando lo sapremo noi. L'intervallo di tempo tra l'impulso del nostro cervello e l'azione realmente svolta è quella in cui subentra l'intenzione cosciente, tema su cui si è concentrata la conferenza nell'ambito di "Ai confini della mente" organizzati dalla Fondazione Palazzo Ducale. Ospite di questo incontro dal titolo "Neuroni e libertà", Patrick Haggard, docente di neuroscienze all'University College di Londra.

Se prima della conferenza i presenti alla Sala del Maggior Consiglio erano convinti che fosse il libero arbitrio, regolato dalla responsabilità singola di ognuno di noi, a governare le nostre azioni, dopo la presentazione del professore Patrick Haggard si saranno dovuti ricredere.

Partendo dagli esperimenti di Benjamin Libet, il docente inglese dimostra che gli impulsi alle azioni volontarie partono a livello neurale e solo dopo almeno 300-350 msec. il soggetto diviene consapevole dell'intenzione di agire. L'attività cerebrale che anticipa l'azione quindi si manifesta prima del sorgere della volontà di farla. Di conseguenza la libertà dell'individuo è compromessa: secondo Libet, il libero arbitrio non consiste nel dare il via all'azione ma nella possibilità di decidere nel momento del manifestarsi dell'intenzione cosciente, 300-350 msec. dopo l'inizio del potenziale di preparazione, ma 150-200 msec. prima dell'effettivo inizio dell'azione, se dar corso all'azione o se inibirla.

L'intervallo di tempo tra le azioni che vengono predisposte, in maniera del tutto inconscia a livello neuronale e la decisione se farla o interromperla è l'intenzione cosciente, la quale, secondo i più recenti studi condotti dal professore inglese svolge l'attività di decidere se portare aventi l'azione o porre un veto. Non volendo trascurare il concetto di responsabilità morale che guida le nostre azioni suggerisce che se noi conosciamo 200 msec ciò che andremo a fare abbiamo il tempo di fermarci, quindi non siamo guidati da libero arbitrio ma dalla libertà di scegliere. Per sostenere questa tesi, il neuroscienziato inglese fa l'esempio di un marito furioso con la moglie che blocca l'istinto di "gridarle di tutto" perchè conosce le conseguenze e le anticipa. In questo caso c'è la preparazione all'azione volontaria che viene bloccata dall'intenzione cosciente. Questo blocco si trova nella parte anteriore dell'area motoria presupplementare, coinvolta nel momento in cui c'è l'intenzione di bloccare l'azione. Ironizza il docente sostenendo che tra una decina di anni potremmo osservare degli accusati che confessano in tribunale che non è colpa loro ma dell'incapacità del loro cervello di bloccare l'azione.

Questo esempio dimostra come in futuro si rinforzeranno i rapporti tra le neuroscienze con le aree del diritto, della politica, della società e i confini dell'etica umana. Gli studi e le ricerche neuroscientifiche a tal proposito devono rispondere ancora a molte domande soprattutto in relazione ai rapporti con la memoria dell'uomo determinata dall'esperienze vissute in società e nel rapporto con gli altri uomini. Per esempio, si sono trovate risposte sull'intenzione di coscienza a breve termine ma manca la relazione tra intenzione cosciente nel rapporto di pensieri a lungo termine o il rapporto tra intenzione cosciente, memoria, etica e moralità estremamente collegati tra loro.

Con i punti interrogativi in mano allle ricerche neuroscientifiche si conclude la conferenza nell'attesa di conoscere il 24 marzo se le "Emozioni, empatia e musica possono ispirare la ricerca scientifica", a cui cercherà di dare risposta Antonio Camurri docente di informatica all'università di Genova.

Genova tra oggi e domani, le riflessioni di Ferruccio De Bortoli


Tecnologia, talento e tolleranza sono le coordinate che consentono in una società liquida come quella attuale di contraddistinguere una città in "creativa" sulla scia del proprio passato. Genova, città di porto e protagonista dell'era industriale insieme alle altre due punte del triangolo economico italiano, Milano e Torino, oggi, in che contesto si colloca?

E' a partire da questo questito che si dirama il colloquio pubblico alla Sala del Maggior Consiglio tra Giovanna Zucconi e il direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli dal titolo "Genova tra oggi e domani", evento di chiusura di un ciclo di incontri sulla storia del capoluogo ligure organizzati dalla Fondazione Garrone in collaborazione con Palazzo Ducale.

Sul palco della sala più prestigiosa di Palazzo Ducale si parla di economia, di classe politica, dirigente e imprenditoriale e si trascura quell'attualità troppo protagonista che non lascia spazio a uqestioni come la necessità di modernità e sviluppo nella tecnologia, nel talento e nella tolleranza. Perchè sono questi i tre capisaldi, secondo l'ex giornalista del Sole 24 ore e direttore del Corriere della Sera che fanno di un Stato, un paese competitivo su scala globale trascinando con se le proprie città. Genova è un esempio di smart city che ha un grande potenziale ma è incapace di svilupparlo. La colpa non si può attribuire alla città ma alla mancanza di una classe dirigente e politica nazionale capace di investire nello sviluppo tecnologico, nel potenziale dei propri giovani e incapace di reinvintarsi socialmente come nuova società multiculturale. "Dovremmo prendere esempio dal nostro passato", suggerisce Ferruccio De Bortoli, "essere ambiziosi e coordinare il nostro futuro di società multietnica ordinata, con un'ideale di bellezza comune e nazionale che domini sugli interessi privati per anticipare quello saremo tra dieci anni"

Si dimostra preoccupato il direttore del Corriere della sera per il futuro dei figli dell'Italia che dovranno confrontarsi con un mercato globale senza tutele, facendo i conti con una cultura tutta nostra di pensare troppo al presente e non al futuro. "Al Corriere gli assunti al di sotto dei trent'anni sono 1,5%, dato allarmante che dimostra quanto poco si investa sul futuro" afferma. Tono critico rivolto anche allo sviluppo tecnologico: "basta parlare del Ponte sullo Stretto di Messina". E infine a proposito della tolleranza si rivolge ai genovesi, città che sta avviando progetti concreti volti all'emancipazione degli immigrati, il futuro dell'Italia: "Genova è sulla via giusta per diventare una città creativa. Per raggiungere questo successo ci sarà bisogno di sentirsi parte di un progettto che coinvolga tutti i cittadini".

La parola passa alla musica, proposta dal leader dei New Trolls, Vittorio De Scalizi che insieme a Giovanna Zucconi ripercorrono i successi della Scuola di Genova proponendo alcune delle canzoni dei grandi interpreti liguri: Paoli, Lauzi, Tenco e ovviamente il quartetto di "quella carezza della sera" cantata insieme al pubblico con la quale si conclude il ciclo delle lezioni di storia su Genova.


lunedì 7 marzo 2011

"Non si ripara ma si costruisce". La psicologia risponde a Rigon.

L'Ordine degli Psicologi della Liguria risponde alle dichiariazioni sulle presunte "terapie riparative" per intervenire sull'omosessualità: "Nessuna base scientifica, la psicoanalisi costruisce, non ripara".

Non sono bastate le parole del Presidente del Consiglio "meglio appassionato di belle ragazze che gay" o quelle più recenti dell'Arcivescovo di Siena "l'omosessualità sarebbe ripugnante". Ci ha pensato anche Monsignor Rigon ha sferrare un nuovo colpo contro la comunità omosessuale e l'ha fatto in occasione dell'inaugurazione dell'anno ecclesiastico dichiarando che "il problema dell’omosessualità è indotto perché non si nasce omosessuali, salvo rarissimi casi di gravi disturbi ormonali. Bisogna dunque prenderla dall’inizio e allora si può superare con la psicoterapia. Ma se l’omosessualità è incancrenita è molto più difficile. Non c’è matrimonio che possa aiutare questa persona. Deve essere affrontata nella prima adolescenza, ne sanno qualcosa i nostri consultori".
Immediate le reazioni da parte della comunità omosessuale, sostenute dall'Ordine degli Psicologi della Liguria che nel corso dell'incontro pubblico presso la sala Piramide hanno reagito alle parole del vicario giudiziale di Genova, definendole "false e pericolose". Insieme all'Ordine degli Psicologi anche l'Ordine dei Medici per dare alla cittadinanza un'ufficializzazione scientifica, in contrapposizione alle dichiarazioni di monsignor Rigon, ma anche per prendere una presa di posizione a tutela della minoranza sociale contro i pregiudizi.
Tre i temi sui quali gli ordini hanno voluto dare chiarimenti a partire dal fatto che "l'omosessualità non è una malattina". Lo illustra con precisione il professor Vittorio Lingiardi, Direttore della Scuola di Specializzazione in Psciologia clinica della Sapienza di Roma presentando al pubblico in sala le tappe che hanno portato l'organizzazione mondiale della sanità a dichiarare nel 1990 che "l'omosessualità è una variante naturale del comportamento sessuale". Dispiaciuto per la mancanza di un confronto con chi ha lanciato l'accusa, lo psicologo cerca di capire quali siano le cause e le motivazioni che hanno spinto un personaggio con tale responsabilità sociale a fare tali affermazioni senza considerare l'impatto sull'inconscio e subinconscio delle minoranze a cui sono state rivolte. Minoranze sociali già costrette a confrontarsi quotidianamente con i pregiudizi della nostra società. Parla di "minority stress" il professor Lingiardi, dimostrando come il malessere riscontrato negli omosessuali sia la conseguenza dell'omofobia radicata nella nostra società che genera nell'individuo un autodisprezzo e non accettazione del proprio essere. Oggi gli studi di psicologia si concentrano su quest'ultima individuata come una delle principali cause di disturbo psicologico rilevato nelle minoranze. L'intervento della psicologia in questo caso è "ascoltare aiutando l'individuo a volersi bene per come è", in netta contrapposizione alle terapie riparative che stando a quanto dichiarato dal monsignor verrebbero applicate nei consultori.
Due i campanelli di allarme sollevati: "quali sono questi consultori" si chiede il presidente dell'Ordine dei Medici, il dottor Enrico Bartolini, invitando i presenti in sala, i cittadini, a segnalare e sollevare particolarità di una cultura complessa non consona mentre il dottor Ferrarini, Presidente Nazionale della Società Italiana Psichiatria, sottolinea che non esistono terapie riparative e non vi è nessun riconoscimenti in termine scientifico verso quest'ultime: "la terapia psicoanalista lavora nella costruzione dell'identità, di senso e di speranza e non di distruzione della propria personalità".
Alle precisazioni scientifiche e mediche seguono quelle "umane" della comunità Arcigay rappresentata da Rebecca Zini, responsabile salute nazionale Arcigay e Valerio Barbini, Presidente ArciGay Genova, che raccontano la quotidianità e le difficoltà dell'appartenere ad una minoranza attraverso testimonianze dirette. Sono arrabbiati per le parole del Monsignor Rigon, delusi perchè consapevoli delle ferite che arrecano negli animi di chi si deve confrontare ogni giorno con la propria personalità. Concludono l'incontro informativo una Rita De Santis arrabbiata e delusa dalle istituzioni italiane, accusate di non ascoltare le richieste dei cittadini che chiedono maggiori diritti perché considerati di Serie B ma che pagano le tasse esattamente come quelli di Serie A. Gli applausi che seguono dopo l'intervento di una madre, Presidente Nazionale Agedo che lotta non solo per i diritti del figlio ma di tutti i figli conferma l'opinione dei presenti in sala. Segue l'intervento di Gianni Geraci del Gruppo Ricerca fede e omosessualità e incantano le sue parole di cattolico credente e omosessuale mentre racconta le proprie esperienze con le terapie riparative degli anni '80 e la sua costante lotta per far si che la Chiesa possa tornare ad essere cattolica rivolgendo i suoi valori a tutti i fedeli senza distinzione.
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Librettisti: censura e Risorgimento. Lezioni di musica al Minor Consiglio

Per la serie del ciclo "La Musica e la Sua Storia", il quinto appuntamento prende in esame i librettisti d'opera, protagonisti di una lotta a fil di penna per diffondere ideali, progetti, critiche e speranze.

Quinto appuntamento della rassegna "La Musica e la sua storia",organizzato dalla scuola Musicale Giuseppe Conta in collaborazione con la Fondazione Palazzo Ducale. Otto appuntamenti che hanno come protagonista la musica, collocata in diversi contesti storici e territoriali. La rassegna di sabato 5 marzo, ha portato i presenti in sala indietro di due secoli a spasso nelle opere di Donizetti, Verdi, Cammararo attraverso le parole di Marco Ravasini, docente del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino. La Sala del Minor Consiglio gremita di un pubblico maturo e interessato ha assunto per un paio di ore le sembianze di un'aula universitaria. Tema della lezione: i librettisti e le loro opere, i melodrammi.

Genere musicale che ha prevalso nel XVII secolo, il melodramma italiano nasce dalla creatività del librettista cui compito era riadattare i testi dalle opere letterarie a quelle teatrali e il compositore. Il docente di Storia della Musica non si sofferma solo sulle descrizioni del genere e dei suoi principali esponenti ma li colloca anche nel contesto storico e territoriale portando il pubblico nel Regno Lombardo alla Scala di Milano o alla Fenice di Venezia o nello stato pontificio nei Teatri Apollo e Argentino di Roma, o al San Carlo di Napoli. Si parla di censura delle opere dei librettisti che essendo commissionate dagli imprenditori erano soggette a un totale controllo, diverso a seconda di quale punto di Itaia si trovasse l'artista perchè, se al nord sotto l'impero Austro-Ungarico la censura interessava più l'ambito politico, specie dopo il '48, al sud invece era di ambito religioso. Tematiche del passato della nostra nazione quando ancora era divisa in regni ma decisamente attuale oggi in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Lo sa bene Roberto Iovino, docente dell'Università di Genova e del Conservatorio Nicolò Paganini che il prossimo sabato intratterà il pubblico della Sala del Minor Consiglio sul tema "L'Italia s'è desta: la musica e il Risorgimento" per un appuntamento da non perdere.

Pubblicato su http://www.viveregenova.comune.genova.it/content/librettisti-censura-e-risorgimento-brlezioni-di-musica-al-minor-consiglio