domenica 13 marzo 2011

"Ritorno ad Haifa" raccontato dai protagonisti: Eva Cambiale e Carlo Orlando

In scena al teatro Hop Altrove di Piazza Cambiaso dal 10 al 12 marzo con "ritorno ad Haifa", le impressioni, i sentimenti del regista e attore Carlo Orlando e dell'attrice Eva Cambiale della Compagnia Teatrale Narramondo.

Da cosa deriva la scelta di proporre un'opera di Ghassan Kanafani, scrittore, giornalista e attivista palestinese?
Carlo: "Ritorno ad Haifa" testo di Ghassan Kanafani è stato allestito la prima volta dalla nostra "Compagnia Narramondo" nella prima versione realizzata da Francesco Feola per essere poi reinterpetrato da me e Eva nel 2008 in occasione della ricorrrenza del 60° anniversario della Nakba". Eva: "Anniversario che ricorda anche la Fondazione dello Stato d'Israele e molto meno la catastrofe causata dalla pulizia etnica dei Palestinesi". Carlo: "siamo tornati a G. Kanafani anche perchè Nicola Pannelli, fondatore e presidente della società Narramondo, aveva messo in scena "ingannati" un altro romanzo di Kanafani, autore considerato dalla nostra compagnia come un grande narratore della cultura araba, per certi versi poeta, perchè la sua scrittura è ricca di immagini, di descrizioni guida per un regista".

Mentre noi siamo a teatro a rivivere la tragica esperienza di un padre e di una madre ci sono persone che quella tragedia la stanno vivendo. Come vi sentite di fronte a tale considerazione?
Carlo: "Ascoltando questa storia a teatro, ogni spettatore porta con se un pezzo di paternità, un sentimento di essere profugo o un figlio abbandonato o in conflitto con la propria cittadinanza. il nostro intento, e quello di narramondo è quello di far riflettere senza l'ambizione di cambiare la coscienza del nostro pubblico. Il teatro ha il compito di portare il pubblico dentro a storie come quella descritta da Ghassan Kanafani perchè nella loro attualità sono antiche ed universali. Proporre tematiche come quello della guerra nella fattispecie quella del conflitto di Israele-Palestinese può aiutarci a capire cosa sta accadendo in altre parti del mondo riportando il cuore a questo problema di etnicità che ci coinvolge ogni giorno".

Carlo Orlando, un padre Said, una donna sterile, ebrea con una tragedia alle spalle Miriam e un figlio abbandonato, Kaldun. Eva Cambiale, Saifa una moglie che ha perso casa e figlio, e Said il marito. Due attori e quattro personaggi è questo il Teatro di Narramondo?
Eva: "direi più che il teatro narramondo è raccontare e interpretare in un totale estraniamento tra i personaggi. Dentro e fuori, continuamente. Racconti quello che fa Said e lo interpreti come se fosse un gioco. Certo, in quanto donna, ho sentito mia l'interpretazione di Saifa, vivendo le sue emozioni come se fossero mie. Interpretare Said ha richiesto più impegno e sacrificio e la stessa cosa sono scura che valga per Carlo". Carlo: "abbiamo diviso i ruoli secondo una logica precisa: donna/uomo, palestinese/israeliano mescolado le inerpretazioni con la narrazione.

Il ticchettio costante che accompagna la rassegna teatrale è il segno del tempo che scorre, degli attimi che separano Said a Saifa dall'attesa?
Carlo: "In realtà è l'elemento che accompagna la semplicità scenografica. il suo ruolo è principalmente quello di racchiudere la rappresentazione quando avviene nell'ambiente domestico. Mi fa piacere però che tra il pubblico sia emersa questa nuova chiave di lettura del ticchettio inteso come elemento che scandisce il tempo. Questo dimostra quanto la rappresentazione teatrale lasci abbastanza spazio all'interpretazione personale".

Chi comanda è il cervello, parola di Patrick Haggard

Il nostro cervello sa quello che andremo a fare con un anticipo di circa 200 millesecondi prima di quando lo sapremo noi. L'intervallo di tempo tra l'impulso del nostro cervello e l'azione realmente svolta è quella in cui subentra l'intenzione cosciente, tema su cui si è concentrata la conferenza nell'ambito di "Ai confini della mente" organizzati dalla Fondazione Palazzo Ducale. Ospite di questo incontro dal titolo "Neuroni e libertà", Patrick Haggard, docente di neuroscienze all'University College di Londra.

Se prima della conferenza i presenti alla Sala del Maggior Consiglio erano convinti che fosse il libero arbitrio, regolato dalla responsabilità singola di ognuno di noi, a governare le nostre azioni, dopo la presentazione del professore Patrick Haggard si saranno dovuti ricredere.

Partendo dagli esperimenti di Benjamin Libet, il docente inglese dimostra che gli impulsi alle azioni volontarie partono a livello neurale e solo dopo almeno 300-350 msec. il soggetto diviene consapevole dell'intenzione di agire. L'attività cerebrale che anticipa l'azione quindi si manifesta prima del sorgere della volontà di farla. Di conseguenza la libertà dell'individuo è compromessa: secondo Libet, il libero arbitrio non consiste nel dare il via all'azione ma nella possibilità di decidere nel momento del manifestarsi dell'intenzione cosciente, 300-350 msec. dopo l'inizio del potenziale di preparazione, ma 150-200 msec. prima dell'effettivo inizio dell'azione, se dar corso all'azione o se inibirla.

L'intervallo di tempo tra le azioni che vengono predisposte, in maniera del tutto inconscia a livello neuronale e la decisione se farla o interromperla è l'intenzione cosciente, la quale, secondo i più recenti studi condotti dal professore inglese svolge l'attività di decidere se portare aventi l'azione o porre un veto. Non volendo trascurare il concetto di responsabilità morale che guida le nostre azioni suggerisce che se noi conosciamo 200 msec ciò che andremo a fare abbiamo il tempo di fermarci, quindi non siamo guidati da libero arbitrio ma dalla libertà di scegliere. Per sostenere questa tesi, il neuroscienziato inglese fa l'esempio di un marito furioso con la moglie che blocca l'istinto di "gridarle di tutto" perchè conosce le conseguenze e le anticipa. In questo caso c'è la preparazione all'azione volontaria che viene bloccata dall'intenzione cosciente. Questo blocco si trova nella parte anteriore dell'area motoria presupplementare, coinvolta nel momento in cui c'è l'intenzione di bloccare l'azione. Ironizza il docente sostenendo che tra una decina di anni potremmo osservare degli accusati che confessano in tribunale che non è colpa loro ma dell'incapacità del loro cervello di bloccare l'azione.

Questo esempio dimostra come in futuro si rinforzeranno i rapporti tra le neuroscienze con le aree del diritto, della politica, della società e i confini dell'etica umana. Gli studi e le ricerche neuroscientifiche a tal proposito devono rispondere ancora a molte domande soprattutto in relazione ai rapporti con la memoria dell'uomo determinata dall'esperienze vissute in società e nel rapporto con gli altri uomini. Per esempio, si sono trovate risposte sull'intenzione di coscienza a breve termine ma manca la relazione tra intenzione cosciente nel rapporto di pensieri a lungo termine o il rapporto tra intenzione cosciente, memoria, etica e moralità estremamente collegati tra loro.

Con i punti interrogativi in mano allle ricerche neuroscientifiche si conclude la conferenza nell'attesa di conoscere il 24 marzo se le "Emozioni, empatia e musica possono ispirare la ricerca scientifica", a cui cercherà di dare risposta Antonio Camurri docente di informatica all'università di Genova.

Genova tra oggi e domani, le riflessioni di Ferruccio De Bortoli


Tecnologia, talento e tolleranza sono le coordinate che consentono in una società liquida come quella attuale di contraddistinguere una città in "creativa" sulla scia del proprio passato. Genova, città di porto e protagonista dell'era industriale insieme alle altre due punte del triangolo economico italiano, Milano e Torino, oggi, in che contesto si colloca?

E' a partire da questo questito che si dirama il colloquio pubblico alla Sala del Maggior Consiglio tra Giovanna Zucconi e il direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli dal titolo "Genova tra oggi e domani", evento di chiusura di un ciclo di incontri sulla storia del capoluogo ligure organizzati dalla Fondazione Garrone in collaborazione con Palazzo Ducale.

Sul palco della sala più prestigiosa di Palazzo Ducale si parla di economia, di classe politica, dirigente e imprenditoriale e si trascura quell'attualità troppo protagonista che non lascia spazio a uqestioni come la necessità di modernità e sviluppo nella tecnologia, nel talento e nella tolleranza. Perchè sono questi i tre capisaldi, secondo l'ex giornalista del Sole 24 ore e direttore del Corriere della Sera che fanno di un Stato, un paese competitivo su scala globale trascinando con se le proprie città. Genova è un esempio di smart city che ha un grande potenziale ma è incapace di svilupparlo. La colpa non si può attribuire alla città ma alla mancanza di una classe dirigente e politica nazionale capace di investire nello sviluppo tecnologico, nel potenziale dei propri giovani e incapace di reinvintarsi socialmente come nuova società multiculturale. "Dovremmo prendere esempio dal nostro passato", suggerisce Ferruccio De Bortoli, "essere ambiziosi e coordinare il nostro futuro di società multietnica ordinata, con un'ideale di bellezza comune e nazionale che domini sugli interessi privati per anticipare quello saremo tra dieci anni"

Si dimostra preoccupato il direttore del Corriere della sera per il futuro dei figli dell'Italia che dovranno confrontarsi con un mercato globale senza tutele, facendo i conti con una cultura tutta nostra di pensare troppo al presente e non al futuro. "Al Corriere gli assunti al di sotto dei trent'anni sono 1,5%, dato allarmante che dimostra quanto poco si investa sul futuro" afferma. Tono critico rivolto anche allo sviluppo tecnologico: "basta parlare del Ponte sullo Stretto di Messina". E infine a proposito della tolleranza si rivolge ai genovesi, città che sta avviando progetti concreti volti all'emancipazione degli immigrati, il futuro dell'Italia: "Genova è sulla via giusta per diventare una città creativa. Per raggiungere questo successo ci sarà bisogno di sentirsi parte di un progettto che coinvolga tutti i cittadini".

La parola passa alla musica, proposta dal leader dei New Trolls, Vittorio De Scalizi che insieme a Giovanna Zucconi ripercorrono i successi della Scuola di Genova proponendo alcune delle canzoni dei grandi interpreti liguri: Paoli, Lauzi, Tenco e ovviamente il quartetto di "quella carezza della sera" cantata insieme al pubblico con la quale si conclude il ciclo delle lezioni di storia su Genova.