sabato 3 settembre 2011

Sanmen Xian, il ritorno!

È sul pullmino di Westinghouse diretto a casa di Richi che mi rendo davvero conto di essere di nuovo in China. Il giorno dell’arrivo ero troppo emozionata di rivedere il mio cinesino e un po’ rincoglionita dal fuso orario per rendermi davvero conto dell’essere di nuovo in questa terra di mezzo. Se consideriamo poi tutta la trafila per recuperare la mia valigia dispersa tra mosca e shanghai beh, finalmente un po’ di relax lo trovo sul lungo viaggio di ritorno a sanmen.

Questo è quello che ho scritto durante il viaggio. Sarebbe un peccato non riportare la versione originale di ormai un mese fa: rileggerla è stato come rivivere quel momento.

Richi dorme qui di fianco a me, ormai è abituato a queste quattro lunghe ore di autostrada cinese che separano Sanmen. Gli fanno compagnia appisolati sul finestrini i suoi colleghi cinesi. Gli stessi dello scorso anno: Tony, Lily, tutti con i loro capelli folti neri come il carbone e dritti come noodles, anzi no, meglio come gli spaghetti, rende più l’idea. A me invece piace curiosare dal finestrino. Lo scenario si alterna a campagna cinese in cui predominano variegate coltivazioni, a paesini in cui spiccano i caseggiati dal classico stile Zeijang: due/tre piani, bordi ricamati sul terrazzo, e ampie vetrate prive di tapparelle ma colorate da enormi tendoni posti all’interno. Proprio come i caseggiati dell’Expact di Sanmen che mi accoglierà per un nuovo mese cinese. Sono emozionata di conoscere la nuova casa di Richi, un po’ più piccolina rispetto alla vecchia ma sono certa che sprigionerà molto calore anche perché intendo cucinare tante buone ricettine multietniche!

Un anno dopo, in Cina a supportare l'Italia

È mercoledì della prima settimana lavorativa dopo un mese di Asia. Tempo di riprendermi dal Jet Lag e abituarmi alla routine genovese ed eccomi pronta ad iniziare a narrare le avventure di questa terza tappa in Oriente. Mete di questo agosto dagli occhi a mandorla un grande ritorno nella provincia dello Zeijang in Cina e una new entry…Vietnam.

La prima impressione una volta atterrata a Shanghai è di essere tornata nel futuro per la seconda volta: grattacieli, strade e sopraelevate che si intersecano, luci, tante luci e cinesi. Beh giustamente! Però dopo un anno di occidentali, ritrovarsi in mezzo a queste fisionomie così diverse ammetto che faccia un certo effetto. Sono contenta di essere tornata a Shanghai. Richi mi guida nei locali e nelle strade con molta sicurezza. Un anno di week end in questa grande metropoli sono serviti e non solo per conoscere i quartieri, adesso mangia anche cinese e orientale!! Prima tappa: ristorante thailandese. Che bello riniziare ad usare le short stick. Ho qualche difficoltà perché ho perso la manualità che avevo acquisito lo scorso anno ma gli spring roll vietnamiti, i bbq squid e il riso fritto sono così invitanti che faccio in fretta a recuperare!

Una veloce tappa in albergo, troppo svelta rispetto alla voglia di dormire un po’… e via!!! Gioca la nazionale italiana di pallanuoto e non possiamo perderci questo evento. A shanghai infatti si stanno svolgendo i mondiali di nuoto. Per l’occasione è stato realizzato in intero nuovo quartiere dalle dimensioni notevoli chiamato Olympic….. e così con Stefano, un collega di Richi ci ritroviamo in mezzo ai compatrioti a supportare quei fustoni dei pallanuotisti italiani che si sfidano a tiri in porta contro i serbi. Incredibile a dirsi…vinciamo 8-7 e che emozione! Non mi era mai capitato di ritrovarmi a supportare il mio paese in uno così lontano come la Cina. Posso ritenere di avere avuto un ruolo in questa vittoria. Di certo la voce di richi.


lunedì 18 aprile 2011

“Dalla cravatta ai massimi sistemi” Giordano Bruno Guerri sul palco dell’Archivolto

Claudio Lolli e Francesco Guccini, D’Annunzio, storia italiana e il suo rapporto con la Chiesa…le parole in libertà del dirigente del Vittoriale


La quinta serata della quinta edizione di Lunedì FEG inizia sulle note di “Yesterday” dei Beatles. Perché è anche di ieri ciò c di cui si occupa uno storico come Giordano Bruno Guerri, ospite sul palco del ciclo di eventi della Fondazione Edoardo Garrone. Beatles, Rolling Stone, Guccini e Claudio Lolli perché il lunedì Feg sono gli ospiti con le loro passioni letterarie, cinematografiche e musicali che intrecciano il percorso della storia di ognuno di loro. E di passioni Giordano Bruno Guerri ne ha molte. Una fra tutte Gabriele D’Annunzio.

Attuale dirigente del Vittoriale, l’editore, racconta al pubblico la sua esperienza manageriale volta alla salvaguardia dell’immagine di uno degli scrittori più discussi della nostra letteratura, curandone l’immenso archivio culturale lasciato in eredità all’Italia. Inevitabile non parlare di fascismo quando si tocca Gabriele D’Annunzio ma, tiene a precisare Giordano Bruno Guerri che, “quello che oggi è considerato il San Pietro dei fascisti non aderì mai al movimento. D’annunzio insegnò a Mussolini che lo stato poteva essere sfidato e vinto, e lo prese alla lettera”.

Dal passato alla contemporaneità italiana passando dalla cravatta. È si perché Giovanna Zucconi fa notare che per la prima volta al lunedì feg un ospite si è presentato in cravatta. Rossa come le calze. Ma non è il colore a introdurre un discorso di politica e massimi sistemi ma la tendenza e la controtendenza: “giocare con la cravatta per giocare con la libertà di poter cambiare e andare un po’ in controtendenza (Marchionne e il “politico simpatico” non portano la cravatta)”. Una maniera sottile di introdurre un tema come la democrazia, i confini della libertà oggi che per Giordano Bruno Guerri si riassumono nei discussi temi della bioetica, della fecondazione assistita e della ricerca sulle cellule staminali.

Argomenti che portano in campo un altro tema assai caro allo storico, il rapporto Stato-Chiesa al quale ha dedicato ben quattro libri che gli sono costate due scomuniche, “moderne” come tende a precisare “ma pur sempre scomuniche”. “Gli italiani sotto la chiesa da San Pietro a Mussolini” è uno di questi. Un’esperienza durata diversi anni in giro per i confessionali delle chiese a fingere confessioni per raccogliere i messaggi dei preti, perché secondo lo storico, “il vero messaggio che il clero da è attraverso i confessionali”. Punta il dito contro uno Stato che ancora oggi da troppo spazio alla chiesa specie nell’ambito educativo. “Sta per essere pubblicato il proseguo “gli italiani sotto la chiesa da San Pietro a Berlusconi”, ironizza Giordano Bruno Guerri introducendo un “immancabile” del palco del Lunedì Feg, il Presidente del Consiglio al quale viene dedicata l’ultima canzone del repertorio scelto di Giordano Bruno Guerri “Goodbay Ruby tuesday”

domenica 17 aprile 2011

"Scotch" che tiene unita l'Italia. Daniele Silvestri presenta il suo nuovo album alla Fnac

Scotch: i testi delle canzoni, l'interpretazione live insieme all'inseparabile band, la partecipazione di artisti come Gino Paoli, Niccolò Fabi e Diego Mancino. Ritorna il cantautore romano con un album ricco di sentimenti, passione e un pizzico di ironia presentato ieri ai suoi fedelissimi genovesi. Ad attenderlo fuori dalla Fnac alle diciassette c'era già la coda di fan, impazienti di partecipare alla presentazione di "Scotch", il nuovo album di Daniele Silvestri. Un'ora di anticipo per garantirsi uno dei primi posti nella piccola saletta degli eventi del centro commerciale di via venti settembre. Il cantante romano è arrivato alle diciotto: capello corto, camicia rosa e bretelle rosse. Spazio ai giornalisti e poi al suo pubblico genovese armato di Compact Disk che attende di essere autografato. Si parla dell'album nuovo "scotch" e si finisce per parlare di attualità. E' sì perché come racconta Daniele Silvestri, "lo scotch tiene unita un'l'Italia aggiustata alla bell'e meglio". L'instabilità, la precarietà e l'insicurezza dei giovani italiani sono descritti nei testi di canzoni come "Le navi", in cui il futuro del paese si interroga se è meglio partire o rimanere. Temi che ritornano con "Precario è il mondo", presentato durante l'ultima puntato di "Vieni via con me" di Fabio Fazio e Roberto Saviano, "Questo paese" che chiude l'album, o "Ma che discorsi". Strumenti improvvisati nella sala della Fnac in cui una sedia sostitusce una batteria e le casse disturbano il suono con improvvisi boati, ma l'interpretazione di Daniele Silvestri e i musicisti che l'accompagnano è strepitosa e lo si intuisce dal gradimento del pubblico ammassato dentro ad una sala troppo stretta. "L'appello" in cui Salvatore Borsellino s'interroga sulla sparizione del fratello magistrato emoziona il pubblico presente mentre diverte la più allegra "Fifa fifty". "Tutte le canzoni proposte nell'album" racconta il cantautore "sono state registrate in presa diretta e in ognuna ci sono i sentimenti, c'è l'attualità ma anche l'ironia, il coraggio e la resa". Daniele Silvestri descrive le collaborazioni che sono tante in "Scotch": da Gino Paoli che interviene nella reinterpretazione di Daniele Silvestri con "La chatta" in cui mantiene la musica ma ne stravolge il testo, all'amico Niccolò Fabi che nel testo "Sornione" fa emergere tutta la sensibilità di questo particolare momento della vita. Torna la politica nelle reintepretazione di "Io non mi sento italiano" con cui Daniele Silvestri ripropone lo stesso interrogativo che si poneva qualche anno fa Giorgio Gaber: "ci sono ancora motivi per sentirsi orgogliosi di essere italiani" e non è un caso che venga proposto in occasione del 150° dell'Unità. La presentazione alla Fnac di Scotch si conclude con le domande del pubblico impaziente di poter scambiare due parole private con il cantautore con il tanto atteso momento dell'autografo sul cd. Nuovo appuntamento con Daniele Silvestri, questa volta sul palco, previsto con la data genovese del tour "Scotch" a luglio.

La politica in una "Bolla", Curzio Maltese si racconta a "Lunedì FEG"

Un bambino cresciuto nella Sesto San Giovanni operaia degli anni settanta in compagnia delle pagine di "Sulla Strada" di Jack Kerouac e della letteratura di Franz Kafka che solo quarantenne riscopre la letteratura infantile di Mark Twain. Si racconta Curzio Maltese al Teatro Modena, sull'intrecciarsi delle domande di Giovanna Zucconi, da sempre presente sul palco di "Lunedì FEG". Uno spirito vagabondo con una grande passione per il giornalismo è il profilo di Curzio Maltese: "scrivere per redazioni come La Stampa o il Corriere della Sera mi hanno dato modo di fare il vagabondo, pagato". Gli insegnamenti e i consigli di grandi maestri come Giorgio Bocca, Indro Montanelli, Sergio Saviane a Milano e gli amici acquisiti come Roberto Benigni, Nicola Piovani e Vincenzo Cerami che gli hanno tenuto compagnia nella città di adozione, Roma.

Una vita all'insegna dello sport, come cronista in "Giro d'Italia" che gli ha permesso di ammmirare ogni angolo del belpaese ai sessanta allora; una vita di cultura letteraria, politica, economica con l'esperienza nelle varie redazione italiane. Una "vita affascinante" la definisce Giovanni Zucconi che guida la chiacchierata sul palco illuminato da cubi colorati. Come vuole la tradizione del ciclo di incontri organizzati dalla Fondazione Garrone, il lunedì sul palcoscenico del Teatro Modena bisognerebbe parlare di libri e letteratura ma con Curzio Maltese oltre agli scrittori russi, tra i preferiti del giornalista di Repubblica, ci si sofferma a raccontare l'Italia, quella di ieri e di oggi, vista con gli occhi di chi l'ha raccontata e la racconta. E se da Dostowjesky si passa a improvvisare scene de "Il Padrino", anche in tema di politica si spazia da Massimo D'Alema a Silvio Berlusconi, da Bettno Craxi a Marcello Dell'Utri e Cesare Previti proprio come nel libro "La Bolla", pubblicato nel 2009 da Feltrinelli. Il pubblico è attento mentre il giornalista si sofferma a descrivere gli incontri che si tengono in Parlamento, dove accusa "non si discutono temi attuali come l'energia, il nucleare, le rivolte del Mediterraneo che i grandi cambiamenti del mondo ci impongono ma si affrontano questioni leggere come l'età della maturità a sedici anni invece che a diciotto per citarne una". Tra un argomento allarmante e l'altro c'è spazio anche per sdrammatizzare sui protagonisti del Parlamento come Bondi, che fa tenerezza al giornalista, Gasparri che veniva deriso quando chiamava in redazione e Dell'Utri e Previti che "facevano paura" al giornalista di repubblica con frasi come "Maltese, noi leggiamo tutti i suoi articoli" che fanno ridere il pubblico in sala. S'interroga Curzio Maltese su come questi personaggi siano potuti finire a governare il paese. La serata si conclude con la parola "risveglio": "Emerge la necessità di un cambiamento che è nell'aria, proprio come lo era a Il Cairo qualche anno fa. La gente stanca e rassegnata di Mubarak proprio come gli italiani sono stanchi e rassegnati da questa politica del Bunga Bunga. Il sistema politico e finanziario italiano vive in una bolla che sta per scoppiare, e scoppierà". E conlude: "si respira nell'aria la voglia di cambiamento e le manifestazione studentesche del 2009 contro la riforma Gelmini sono solo l'inizio di questa frattura che finirà con un risveglio dell'Italia"

domenica 20 marzo 2011

Un ponte con l'Africa

Parola ai medici, psichiatri, esperti di economia e finanza italo-africani che hanno incontrato i le istituzioni e cittadini genovesi. Passato, presente ma soprattutto futuro dell'Africa e un obiettivo comune: "costruire un ponte" che colleghi le due culture, solido e resitente le cui basi siano determinate dalla conoscenza, stima reciproca e dalla collaborazione.

Un confronto tra l'Italia e l'Africa in un incontro tra istituzioni della città e associazioni africane per "costruire un ponte" tra le due sponde che si affacciano sul Mediterraneo. Un tavolo di incontro e confronto sui temi caldi che tornano a far discutere con i recenti fatti come immigrazione, rivendicazione di diritti, cittadinanza, discussi con chi ne è esperto.

"Un ponte con l'Africa" è il tema del dibattito che si è tenuto alla Sala di Rappresentanza di via Garibaldi 9, organizzato dal Comune di Genova e l'Associazione MABOTA. "Con" e non per l'Africa, riporta il titolo dell'evento, "perchè questo ponte deve essere costruito insieme dall'incontro delle culture e sostenuto dalle differenze", introduce Maria Rosa Biggi presidente Commissione Politiche dell’Immigrazione del Comune. Ieri a Genova, come in tutta Italia, si è festeggiato il 150° dell'Unità d'Italia. Cinquanta anni fa, gli stati africani festeggiavano l'indipendenza dal colonialismo europeo. Due grandi date per due paesi che sempre più si avvicinano, e non solo in termini territoriali. Gli africani che risiedono in Italia da molti anni ne sono la dimostrazione ed è compito del paese sostenerli per affrontare insieme questo percorso, è quanto emerge nel corso dell'evento. A sostegno di questa affermazione Jean Claude Lemba, presidente dell'Associazione MABOTA sottolinea la necessità di un dialogo tra le culture augurandosi che questo sia solo il primo di altri incontri tra le comunità africana residente a Genova e le istituzioni comunali e regionali.

Con il passato storico del continente africano si entra nel cuore dell'incontro: il post colonialismo, l'indipendenza degli stati africani ma anche il futuro di quei paesi e la necessità di grandi cambiamenti. "Uno degli errori più grandi che i paesi occidentali hanno commesso è stato l'aver lasciato scoperta l'Africa di personale qualificato nei settori politici, amministrativi, finanziario ed economici. Errore che si è aggravato con la conseguente politica degli aiuti", sostiente il dottor Jacques Botembe - medico chirurgo della Croce Rossa Italiana e studioso del continente africano, che aggiunge: "l'Africa ha ricevuto quattro volte i fondi di sostegno dagli americani rispetto all'Europa dopo la seconda guerra mondiale. L'incapacità di gestirli con investimenti e la corruzione prevalgono su questi aiuti che sono diventati per l'Africa un'entrata permanente". E conclude: "L'Africa ha bisogno di creare un mercato interno indipendente per crescere nei settori dei trasporti, della sanità, della formazione, imparando dgli stati occidentali ma avviando lo sviluppo in maniera indipendente".

Lo conosce bene questo aspetto il dottor Francis Sietchiping Nzepa, medico chirurgo ed esperto di economia e finanza con un master alla Bocconi che presenta al pubblico l'esistenza di un ambizioso progetto chiamato "Banca etica della diaspora africana" invitando i presenti in sala ad unirsi a quei cinquemila africani che ne hanno permesso l'avvio. "Gli africani possono sostenere il costo per lo sviluppo del continente nero attraverso il trasferimento dei soldi", afferma il dottor Nzepa. "Una sorta di Western Union africana, che si autogestisca e finanzi, sulla scia dell'esperienza della Banca Etica di Padova". Secondo il dottor Nzepa è solo attraverso una banca degli africani che si potranno realizzare progetti economici di sviluppo del paese attraverso fondi di garanzia volti a finanziare le imprese locali, investendo per la propria economia senza l'intervento degli stati occidentali e senza l'ostacolo dei governi locali corrotti. inoltre con una propria money transfer i costi di trasferimento verranno ridotti al minimo e reinvestiti per lo sviluppo".

Progetti reali e concreti, presenti e futuri quelli si sono affrontati nel corso del lungo dibattito dove oltre ai temi di finanza, economia, si è parlato anche di integrazione, diritti, cambiamenti che possono essere percorsi insieme tra istituzioni e rappresentanti delle comunità africane. Genova, città che si affaccia sul mediterraneo, mediatrice tra le culture vuole avere un ruolo chiave nella costruzione di questo ponte e lo ha dimostrato con questo incontro, primo di una serie che si terranno in questo anno, 150° dell'Unità d'Italia e 50° anniversario dell'indipendenza africana.

venerdì 18 marzo 2011

Festeggiare, senza dimenticare il 25 aprile

Perchè è giusto festeggiare l'Unità d'Italia raccontato ripercorrendo i fatti e le caratteristiche del movimento popolare che ha determinato il processo di riunificazione. Parola a Alberto Mario Banti, massimo studioso di questo periodo storico.

il 17 marzo 1861 a Torino veniva dichiarata l'Unità d'Italia. 150 anni dopo in una sala del Maggior Consiglio stracolma si ripercorrono le cause i motivi che hanno portato alla costruzione di uno stato unitario. A narrare i fatti è uno dei massimi studiosi del Risorgimento italiano, il professore Alberto Mario Banti, dell'università di Pisa che descrive il movimento "popolare" e politico dal quale è scaturito il nostro futuro di cittadini italiani.

Un movimento di massa dalle dimensioni significative per il numero di adesioni che l'hanno costituito. Illumina sulle caratteristiche di questi patrioti, giovani dai baffetti radi e le gote rosa, fieri nelle loro camicie rosse e delle loro armi. Perchè il risorgimento italiano è anche e soprattutto un movimento militare, il che spiega la predominanza di giovani di varia estrazione sociale, la maggior parte proveniente dal contesto urbano. Manovali, operai o scaricatori di porto delle classi popolari ma anche proprietari terrieri, intellettuali, nobili perchè a fare il risorgimento italiano è stato un popolo guidato da un obiettivo comune: l'unità. Non è una questione economica la nascita del Risorgimento. A spingere una massa di persone non sono stati gli interessi della borghesia e le loro questioni economiche ma una spinta ideale dettata da forti passioni, e qualche interrogativo.

Monarchica o repubblicana? federalista o non federalista? erano alcuni dei grandi questioni che riguardavano il futuro degli italiani. Decisioni politiche, giuridiche, economiche, religiose che fossero comuni da nord a sud. Si deve molto allo Statuto Albertino che ha gettato le basi per fare dell'Italia uno Stato di diritto, laico dove tutti "i rignicoli" sono uguali davanti alla legge, sottolinea il professore. Aspetti modernizzanti rispetto agli altri regni come il Granducato di Toscana, il Regno delle Due Sicilie o lo Stato Pontificio. Si contrappongo però a questi, il plebiscito che in quegli anni veniva limitato solo al 2% della popolazione, quella ricca e intellettuale, e lo negava ai poveri e alle donne.

Descritto come "assai mortificante" invece il pensiero dominante nei confronti di quest'ultime, anch'esse patriote di quel movimento, il cui diritto ereditò dal Codice di Napoleane "l'autorizzazione maritale", assai meno moderno insieme a molto altro rispetto allo Statuto Albertino.

Anche la Chiesa ha avuto un ruolo nel processo di unificazione e non solo spirituale, rappresentata nella persona di Papa Pio IX, amico e poi nemico di questo movimento. E se i valori religiosi cristiani erano fondamentali per i patrioti lo erano anche quelli del "sangue e del suolo" che ha guidato e supportato l'intero movimento. L'essere pronti a sacrificarsi per la propria terra, la propria patria, racchiude una concezione aureo religiosa fondamentale per guidare una massa di persone pronte al sacrificio della propria vita. Valori che hanno superato periodo cupi come la grande guerra e che si sono ripetuti nella storia del nostro paese, basti pensare a "Cuore" di De amicis e al nazionalismo dell'era fascista.

Chiude con una riflessione lo storico: "è bello e giusto festeggiare il 17 marzo, per ricordare come si costruisce uno stato moderno ma è anche giusto festeggiarlo solo per un anno e poi restituirlo al Risorgimento. Quello che a cui non dovremo mai rinunciare di festeggiare è il XXV aprile e il 2 giugno elmenti cardini che fondano la Repubblica d'Italia rappresentato da quella bellezza unica e rara che è la nostra costituzione che ci rende tanto orgogliosi".

mercoledì 16 marzo 2011

Il regista de "Il gioellino" risponde al suo pubblico

Dopo il successo de "La Ragazza del Lago" Andrea Molaioli torna nelle sala cinematografiche raccontando il crac Parmalat. Presentato questa sera alla Sala Sivori, dopo la rappresentazione, il regista ha risposto alle domande dei presenti. "Il gioiellino non è un'inchiesta giornalistica sul crac della Parmalat ma è una ricostruzione delle vicende costruite attraverso il punto di vista dei suoi protagonisti". A raccontarlo è il regista Andrea Molaioli che questa sera, ha incontrato il pubblico della Sala Sivori a seguito dalla rappresentazione del film.


Reduce dal successo de "La ragazza del Lago" che gli ha conferito dieci David di Donatello al Festival del Cinema di Venezia del 2008, l'ex assistente di Nanni Moretti, ha risposto alle domande di Francesca Baroncelli, giornalista di Mentelocale che l'ha accompagnato sul palco della Sivori, e a quelle di un pubblico che l'ha accolto con un sentito applauso a dimostrazone del gradimento del film.

"Il Gioellino nasce dal desiderio di capirci di più su quella che è stata una delle crisi finanziarie dai risvolti drammatici per il nostro paese, facendola raccontare dai suoi artefici", racconta il regista che svela come l'idea di realizzare questo film ebbe inizio nel Tribunale durante una delle udienze sul caso Parmalat. Il bisogno di soddisfare la curiosità sulla grande truffa del latte ha guidato il regista a svolgere ricerche sui libri, sugli articoli usciti sul caso e interviste ad alcuni degli esponenti per avere un quadro più o meno completo per descrivere la creazione del fallimento dell'azienda di Collecchio. Perchè è sul concatenarsi di vicende che hanno fatto affondare la Parmalat che si concentra il film, che non vuole essere un'inchiesta giornalistica ma la presentazione di come si sono svolti i fatti raccontati direttamente dalle stanze del potere, descivendone l'atmosfera e i sentimenti di chi ne è stato protagonista. Ecco allora la spiegazione del perchè nel film non emerge il punto di vista di chi l'ha subita la truffa, i risparmiatori italiani, in risposta alla domanda di una ragazza presente in sala, o del perchè la linea di demarcazione tra finzione e realtà sia davvero sottile. Ci tiene a sottolineare, Andrea Molaioli come il film sia una sintesi dell'enorme quantità di materiale complesso e come il riferimento ai fatti e alle persone sia molto forte.

Lo dimostrano la bravura dei due attori protagonisti, Toni Servillo nel ruolo di Ernesto Botta, ragioniere presso la ditta agro-alimentare della famiglia Rastelli e Remo Girone, l'imprenditore che si è fatto da se a colpi di latte, calcio e viaggi esotici, "che interpreta con abilità il ruolo di un uomo che si è arricchito terribilmente ma che parla dei soldi come se fossero un male". Un uomo piacevole, rassicurante, ma che può diventare malefico. Ed è sulla figura di Calisto Tanzi, ex Presidente della Parmalat che emerge una lieve critica rivolta al regista da un signore del pubblico, secondo il quale, la figura di questo personaggio sia stata assottigliata così come la sua famiglia esce generosamente dal film. Il regista dimostra con il supporto di esempi tratti dalle scene come invece vengano rivelati gli aspetti più oscuri dei comportamenti scorretti di questo personaggio, specie nella parte finale.

domenica 13 marzo 2011

"Ritorno ad Haifa" raccontato dai protagonisti: Eva Cambiale e Carlo Orlando

In scena al teatro Hop Altrove di Piazza Cambiaso dal 10 al 12 marzo con "ritorno ad Haifa", le impressioni, i sentimenti del regista e attore Carlo Orlando e dell'attrice Eva Cambiale della Compagnia Teatrale Narramondo.

Da cosa deriva la scelta di proporre un'opera di Ghassan Kanafani, scrittore, giornalista e attivista palestinese?
Carlo: "Ritorno ad Haifa" testo di Ghassan Kanafani è stato allestito la prima volta dalla nostra "Compagnia Narramondo" nella prima versione realizzata da Francesco Feola per essere poi reinterpetrato da me e Eva nel 2008 in occasione della ricorrrenza del 60° anniversario della Nakba". Eva: "Anniversario che ricorda anche la Fondazione dello Stato d'Israele e molto meno la catastrofe causata dalla pulizia etnica dei Palestinesi". Carlo: "siamo tornati a G. Kanafani anche perchè Nicola Pannelli, fondatore e presidente della società Narramondo, aveva messo in scena "ingannati" un altro romanzo di Kanafani, autore considerato dalla nostra compagnia come un grande narratore della cultura araba, per certi versi poeta, perchè la sua scrittura è ricca di immagini, di descrizioni guida per un regista".

Mentre noi siamo a teatro a rivivere la tragica esperienza di un padre e di una madre ci sono persone che quella tragedia la stanno vivendo. Come vi sentite di fronte a tale considerazione?
Carlo: "Ascoltando questa storia a teatro, ogni spettatore porta con se un pezzo di paternità, un sentimento di essere profugo o un figlio abbandonato o in conflitto con la propria cittadinanza. il nostro intento, e quello di narramondo è quello di far riflettere senza l'ambizione di cambiare la coscienza del nostro pubblico. Il teatro ha il compito di portare il pubblico dentro a storie come quella descritta da Ghassan Kanafani perchè nella loro attualità sono antiche ed universali. Proporre tematiche come quello della guerra nella fattispecie quella del conflitto di Israele-Palestinese può aiutarci a capire cosa sta accadendo in altre parti del mondo riportando il cuore a questo problema di etnicità che ci coinvolge ogni giorno".

Carlo Orlando, un padre Said, una donna sterile, ebrea con una tragedia alle spalle Miriam e un figlio abbandonato, Kaldun. Eva Cambiale, Saifa una moglie che ha perso casa e figlio, e Said il marito. Due attori e quattro personaggi è questo il Teatro di Narramondo?
Eva: "direi più che il teatro narramondo è raccontare e interpretare in un totale estraniamento tra i personaggi. Dentro e fuori, continuamente. Racconti quello che fa Said e lo interpreti come se fosse un gioco. Certo, in quanto donna, ho sentito mia l'interpretazione di Saifa, vivendo le sue emozioni come se fossero mie. Interpretare Said ha richiesto più impegno e sacrificio e la stessa cosa sono scura che valga per Carlo". Carlo: "abbiamo diviso i ruoli secondo una logica precisa: donna/uomo, palestinese/israeliano mescolado le inerpretazioni con la narrazione.

Il ticchettio costante che accompagna la rassegna teatrale è il segno del tempo che scorre, degli attimi che separano Said a Saifa dall'attesa?
Carlo: "In realtà è l'elemento che accompagna la semplicità scenografica. il suo ruolo è principalmente quello di racchiudere la rappresentazione quando avviene nell'ambiente domestico. Mi fa piacere però che tra il pubblico sia emersa questa nuova chiave di lettura del ticchettio inteso come elemento che scandisce il tempo. Questo dimostra quanto la rappresentazione teatrale lasci abbastanza spazio all'interpretazione personale".

Chi comanda è il cervello, parola di Patrick Haggard

Il nostro cervello sa quello che andremo a fare con un anticipo di circa 200 millesecondi prima di quando lo sapremo noi. L'intervallo di tempo tra l'impulso del nostro cervello e l'azione realmente svolta è quella in cui subentra l'intenzione cosciente, tema su cui si è concentrata la conferenza nell'ambito di "Ai confini della mente" organizzati dalla Fondazione Palazzo Ducale. Ospite di questo incontro dal titolo "Neuroni e libertà", Patrick Haggard, docente di neuroscienze all'University College di Londra.

Se prima della conferenza i presenti alla Sala del Maggior Consiglio erano convinti che fosse il libero arbitrio, regolato dalla responsabilità singola di ognuno di noi, a governare le nostre azioni, dopo la presentazione del professore Patrick Haggard si saranno dovuti ricredere.

Partendo dagli esperimenti di Benjamin Libet, il docente inglese dimostra che gli impulsi alle azioni volontarie partono a livello neurale e solo dopo almeno 300-350 msec. il soggetto diviene consapevole dell'intenzione di agire. L'attività cerebrale che anticipa l'azione quindi si manifesta prima del sorgere della volontà di farla. Di conseguenza la libertà dell'individuo è compromessa: secondo Libet, il libero arbitrio non consiste nel dare il via all'azione ma nella possibilità di decidere nel momento del manifestarsi dell'intenzione cosciente, 300-350 msec. dopo l'inizio del potenziale di preparazione, ma 150-200 msec. prima dell'effettivo inizio dell'azione, se dar corso all'azione o se inibirla.

L'intervallo di tempo tra le azioni che vengono predisposte, in maniera del tutto inconscia a livello neuronale e la decisione se farla o interromperla è l'intenzione cosciente, la quale, secondo i più recenti studi condotti dal professore inglese svolge l'attività di decidere se portare aventi l'azione o porre un veto. Non volendo trascurare il concetto di responsabilità morale che guida le nostre azioni suggerisce che se noi conosciamo 200 msec ciò che andremo a fare abbiamo il tempo di fermarci, quindi non siamo guidati da libero arbitrio ma dalla libertà di scegliere. Per sostenere questa tesi, il neuroscienziato inglese fa l'esempio di un marito furioso con la moglie che blocca l'istinto di "gridarle di tutto" perchè conosce le conseguenze e le anticipa. In questo caso c'è la preparazione all'azione volontaria che viene bloccata dall'intenzione cosciente. Questo blocco si trova nella parte anteriore dell'area motoria presupplementare, coinvolta nel momento in cui c'è l'intenzione di bloccare l'azione. Ironizza il docente sostenendo che tra una decina di anni potremmo osservare degli accusati che confessano in tribunale che non è colpa loro ma dell'incapacità del loro cervello di bloccare l'azione.

Questo esempio dimostra come in futuro si rinforzeranno i rapporti tra le neuroscienze con le aree del diritto, della politica, della società e i confini dell'etica umana. Gli studi e le ricerche neuroscientifiche a tal proposito devono rispondere ancora a molte domande soprattutto in relazione ai rapporti con la memoria dell'uomo determinata dall'esperienze vissute in società e nel rapporto con gli altri uomini. Per esempio, si sono trovate risposte sull'intenzione di coscienza a breve termine ma manca la relazione tra intenzione cosciente nel rapporto di pensieri a lungo termine o il rapporto tra intenzione cosciente, memoria, etica e moralità estremamente collegati tra loro.

Con i punti interrogativi in mano allle ricerche neuroscientifiche si conclude la conferenza nell'attesa di conoscere il 24 marzo se le "Emozioni, empatia e musica possono ispirare la ricerca scientifica", a cui cercherà di dare risposta Antonio Camurri docente di informatica all'università di Genova.

Genova tra oggi e domani, le riflessioni di Ferruccio De Bortoli


Tecnologia, talento e tolleranza sono le coordinate che consentono in una società liquida come quella attuale di contraddistinguere una città in "creativa" sulla scia del proprio passato. Genova, città di porto e protagonista dell'era industriale insieme alle altre due punte del triangolo economico italiano, Milano e Torino, oggi, in che contesto si colloca?

E' a partire da questo questito che si dirama il colloquio pubblico alla Sala del Maggior Consiglio tra Giovanna Zucconi e il direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli dal titolo "Genova tra oggi e domani", evento di chiusura di un ciclo di incontri sulla storia del capoluogo ligure organizzati dalla Fondazione Garrone in collaborazione con Palazzo Ducale.

Sul palco della sala più prestigiosa di Palazzo Ducale si parla di economia, di classe politica, dirigente e imprenditoriale e si trascura quell'attualità troppo protagonista che non lascia spazio a uqestioni come la necessità di modernità e sviluppo nella tecnologia, nel talento e nella tolleranza. Perchè sono questi i tre capisaldi, secondo l'ex giornalista del Sole 24 ore e direttore del Corriere della Sera che fanno di un Stato, un paese competitivo su scala globale trascinando con se le proprie città. Genova è un esempio di smart city che ha un grande potenziale ma è incapace di svilupparlo. La colpa non si può attribuire alla città ma alla mancanza di una classe dirigente e politica nazionale capace di investire nello sviluppo tecnologico, nel potenziale dei propri giovani e incapace di reinvintarsi socialmente come nuova società multiculturale. "Dovremmo prendere esempio dal nostro passato", suggerisce Ferruccio De Bortoli, "essere ambiziosi e coordinare il nostro futuro di società multietnica ordinata, con un'ideale di bellezza comune e nazionale che domini sugli interessi privati per anticipare quello saremo tra dieci anni"

Si dimostra preoccupato il direttore del Corriere della sera per il futuro dei figli dell'Italia che dovranno confrontarsi con un mercato globale senza tutele, facendo i conti con una cultura tutta nostra di pensare troppo al presente e non al futuro. "Al Corriere gli assunti al di sotto dei trent'anni sono 1,5%, dato allarmante che dimostra quanto poco si investa sul futuro" afferma. Tono critico rivolto anche allo sviluppo tecnologico: "basta parlare del Ponte sullo Stretto di Messina". E infine a proposito della tolleranza si rivolge ai genovesi, città che sta avviando progetti concreti volti all'emancipazione degli immigrati, il futuro dell'Italia: "Genova è sulla via giusta per diventare una città creativa. Per raggiungere questo successo ci sarà bisogno di sentirsi parte di un progettto che coinvolga tutti i cittadini".

La parola passa alla musica, proposta dal leader dei New Trolls, Vittorio De Scalizi che insieme a Giovanna Zucconi ripercorrono i successi della Scuola di Genova proponendo alcune delle canzoni dei grandi interpreti liguri: Paoli, Lauzi, Tenco e ovviamente il quartetto di "quella carezza della sera" cantata insieme al pubblico con la quale si conclude il ciclo delle lezioni di storia su Genova.


lunedì 7 marzo 2011

"Non si ripara ma si costruisce". La psicologia risponde a Rigon.

L'Ordine degli Psicologi della Liguria risponde alle dichiariazioni sulle presunte "terapie riparative" per intervenire sull'omosessualità: "Nessuna base scientifica, la psicoanalisi costruisce, non ripara".

Non sono bastate le parole del Presidente del Consiglio "meglio appassionato di belle ragazze che gay" o quelle più recenti dell'Arcivescovo di Siena "l'omosessualità sarebbe ripugnante". Ci ha pensato anche Monsignor Rigon ha sferrare un nuovo colpo contro la comunità omosessuale e l'ha fatto in occasione dell'inaugurazione dell'anno ecclesiastico dichiarando che "il problema dell’omosessualità è indotto perché non si nasce omosessuali, salvo rarissimi casi di gravi disturbi ormonali. Bisogna dunque prenderla dall’inizio e allora si può superare con la psicoterapia. Ma se l’omosessualità è incancrenita è molto più difficile. Non c’è matrimonio che possa aiutare questa persona. Deve essere affrontata nella prima adolescenza, ne sanno qualcosa i nostri consultori".
Immediate le reazioni da parte della comunità omosessuale, sostenute dall'Ordine degli Psicologi della Liguria che nel corso dell'incontro pubblico presso la sala Piramide hanno reagito alle parole del vicario giudiziale di Genova, definendole "false e pericolose". Insieme all'Ordine degli Psicologi anche l'Ordine dei Medici per dare alla cittadinanza un'ufficializzazione scientifica, in contrapposizione alle dichiarazioni di monsignor Rigon, ma anche per prendere una presa di posizione a tutela della minoranza sociale contro i pregiudizi.
Tre i temi sui quali gli ordini hanno voluto dare chiarimenti a partire dal fatto che "l'omosessualità non è una malattina". Lo illustra con precisione il professor Vittorio Lingiardi, Direttore della Scuola di Specializzazione in Psciologia clinica della Sapienza di Roma presentando al pubblico in sala le tappe che hanno portato l'organizzazione mondiale della sanità a dichiarare nel 1990 che "l'omosessualità è una variante naturale del comportamento sessuale". Dispiaciuto per la mancanza di un confronto con chi ha lanciato l'accusa, lo psicologo cerca di capire quali siano le cause e le motivazioni che hanno spinto un personaggio con tale responsabilità sociale a fare tali affermazioni senza considerare l'impatto sull'inconscio e subinconscio delle minoranze a cui sono state rivolte. Minoranze sociali già costrette a confrontarsi quotidianamente con i pregiudizi della nostra società. Parla di "minority stress" il professor Lingiardi, dimostrando come il malessere riscontrato negli omosessuali sia la conseguenza dell'omofobia radicata nella nostra società che genera nell'individuo un autodisprezzo e non accettazione del proprio essere. Oggi gli studi di psicologia si concentrano su quest'ultima individuata come una delle principali cause di disturbo psicologico rilevato nelle minoranze. L'intervento della psicologia in questo caso è "ascoltare aiutando l'individuo a volersi bene per come è", in netta contrapposizione alle terapie riparative che stando a quanto dichiarato dal monsignor verrebbero applicate nei consultori.
Due i campanelli di allarme sollevati: "quali sono questi consultori" si chiede il presidente dell'Ordine dei Medici, il dottor Enrico Bartolini, invitando i presenti in sala, i cittadini, a segnalare e sollevare particolarità di una cultura complessa non consona mentre il dottor Ferrarini, Presidente Nazionale della Società Italiana Psichiatria, sottolinea che non esistono terapie riparative e non vi è nessun riconoscimenti in termine scientifico verso quest'ultime: "la terapia psicoanalista lavora nella costruzione dell'identità, di senso e di speranza e non di distruzione della propria personalità".
Alle precisazioni scientifiche e mediche seguono quelle "umane" della comunità Arcigay rappresentata da Rebecca Zini, responsabile salute nazionale Arcigay e Valerio Barbini, Presidente ArciGay Genova, che raccontano la quotidianità e le difficoltà dell'appartenere ad una minoranza attraverso testimonianze dirette. Sono arrabbiati per le parole del Monsignor Rigon, delusi perchè consapevoli delle ferite che arrecano negli animi di chi si deve confrontare ogni giorno con la propria personalità. Concludono l'incontro informativo una Rita De Santis arrabbiata e delusa dalle istituzioni italiane, accusate di non ascoltare le richieste dei cittadini che chiedono maggiori diritti perché considerati di Serie B ma che pagano le tasse esattamente come quelli di Serie A. Gli applausi che seguono dopo l'intervento di una madre, Presidente Nazionale Agedo che lotta non solo per i diritti del figlio ma di tutti i figli conferma l'opinione dei presenti in sala. Segue l'intervento di Gianni Geraci del Gruppo Ricerca fede e omosessualità e incantano le sue parole di cattolico credente e omosessuale mentre racconta le proprie esperienze con le terapie riparative degli anni '80 e la sua costante lotta per far si che la Chiesa possa tornare ad essere cattolica rivolgendo i suoi valori a tutti i fedeli senza distinzione.
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Librettisti: censura e Risorgimento. Lezioni di musica al Minor Consiglio

Per la serie del ciclo "La Musica e la Sua Storia", il quinto appuntamento prende in esame i librettisti d'opera, protagonisti di una lotta a fil di penna per diffondere ideali, progetti, critiche e speranze.

Quinto appuntamento della rassegna "La Musica e la sua storia",organizzato dalla scuola Musicale Giuseppe Conta in collaborazione con la Fondazione Palazzo Ducale. Otto appuntamenti che hanno come protagonista la musica, collocata in diversi contesti storici e territoriali. La rassegna di sabato 5 marzo, ha portato i presenti in sala indietro di due secoli a spasso nelle opere di Donizetti, Verdi, Cammararo attraverso le parole di Marco Ravasini, docente del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino. La Sala del Minor Consiglio gremita di un pubblico maturo e interessato ha assunto per un paio di ore le sembianze di un'aula universitaria. Tema della lezione: i librettisti e le loro opere, i melodrammi.

Genere musicale che ha prevalso nel XVII secolo, il melodramma italiano nasce dalla creatività del librettista cui compito era riadattare i testi dalle opere letterarie a quelle teatrali e il compositore. Il docente di Storia della Musica non si sofferma solo sulle descrizioni del genere e dei suoi principali esponenti ma li colloca anche nel contesto storico e territoriale portando il pubblico nel Regno Lombardo alla Scala di Milano o alla Fenice di Venezia o nello stato pontificio nei Teatri Apollo e Argentino di Roma, o al San Carlo di Napoli. Si parla di censura delle opere dei librettisti che essendo commissionate dagli imprenditori erano soggette a un totale controllo, diverso a seconda di quale punto di Itaia si trovasse l'artista perchè, se al nord sotto l'impero Austro-Ungarico la censura interessava più l'ambito politico, specie dopo il '48, al sud invece era di ambito religioso. Tematiche del passato della nostra nazione quando ancora era divisa in regni ma decisamente attuale oggi in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Lo sa bene Roberto Iovino, docente dell'Università di Genova e del Conservatorio Nicolò Paganini che il prossimo sabato intratterà il pubblico della Sala del Minor Consiglio sul tema "L'Italia s'è desta: la musica e il Risorgimento" per un appuntamento da non perdere.

Pubblicato su http://www.viveregenova.comune.genova.it/content/librettisti-censura-e-risorgimento-brlezioni-di-musica-al-minor-consiglio

domenica 30 gennaio 2011

Kuala Lumpur, un inaspettato mix culturale

La vera grande sorpresa di Kuala Lumpur sono stati i kuala lumpuriani che si contraddistinguono dai malesiani. A KL vivono quasi due milioni di abitanti e a convivere con i malesiani vi sono in prevalenza cinesi e indiani. Vi sono poi numerose comunità di nuovi immigrati dalle aree meno ricche dell’Est asiatico come Bangladesh e Filippine a cui vengono affidati i lavori i kuala lumpuriani si rifiutano di fare. Specie nell’edilizia in piena espansione in questa metropoli: è facile incontrare cantieri aperti di grattacieli in costruzione e questa particolarità mi ha ricordato molto la ricca Shanghai.

Kuala Lumpur ha tutte le caratteristiche che una metropoli deve avere per poter competere con quelle americane o cinesi: le Petronas Tower, la Monorail, la Menara Tower sono attrazioni che fanno concorrenza a città ben più conosciute dell’Asia.

Diverso lo scenario incontrato nell’isola dei granchi, Pulau Ketam, a un’ora di traghetto e una di bus da KL. Un originale villaggio di pescatori costruito interamente su palafitte di legno la cui testimonianza sono le barche arenate sul fango per via della bassa marea in attesa di solcare il tranquillo mare della Malesia, o gli abitanti indaffarati nella pulizia dei gamberi sulle terrazze davanti a casa. Questo è lo spettacolo che si incontra passeggiando sui punti di legno sorretti da tronchi d’albero, decisamente diverso dalla metropoli di KL.

I restanti due giorni nella capitale malesiana non ci siamo fatti mancare nulla: abbiamo visitato il Bird Park, la più grande voliera del mondo con circa ottocenti uccelli che svolazzano liberi, ci siamo fatti fare un bel trattamento ai piedi dal doctor fish, una vera moda spa del paese; abbiamo mangiato sul ristorante girevole della Menara Tower e fatto colazione nel famoso Pasar Baru Bukit Bintang, meglio conosciuto come Imby Market, dove si possono trovare tutte le specialità della tradizione malesiana e cinese. La cucina prevalente è soprattutto quest’ultima, per la gioia di Richi.

Non ci siamo fatti sfuggire una visita nella Little India di KL, tra i profumi delle spezie che si mescolano a quelli delle decorazione floreali mostrate elegantemente sui banchetti per strada, assaggiando i frutti esotici venduti a cubetti nei sacchettini di plastica o infilati nei bacchetti di legno come spiedini. Forse per via del mio recente viaggio in Cina e della permanenza di Richi, abbiamo apprezzato meno la China Town di KL ma il riso fritto accompagnato dal Jasmine Tea nel ristorante cinese più antico della città ci ha conquistato. Stessa cosa di può dire però dell’hamburger e mojito del reagge bar a pochi passi da ChinaTown.

Kl è questo a mio giudizio: un mix di culture dove modernità, tradizione e religioni si mescolano e convivono pacificamente. Nella stessa strada si possono trovare: moschee, templi Indu, templi buddisti e chiese cristiane in perfetta sintonia l’uno con l’altra e nel rispetto reciproco esattamente come la donna coperta sotto il Burqa passeggia a fianco di una in gonna corta e maglietta scollata.

Nove giorni e tre stati

Il mio dicembre nel Sud Pacifico: scambiarsi regali di Natale davanti alle Petronas Tower , trascorrere Santo Stefano nelle splendide spiagge di Bintan e accogliere il 2011 sulla Marina Bay di Singapore.

Come ogni partenza, anche questa è stata preceduta da un insostenibile sensazione di agitazione: le dodici ore da sola in aereo, lo scalo ad Amsterdam, l’incontro con Richi al KL International Airport. Ogni volta la stessa incontrollata emozione, piacevole nel ricordarla dopo ma incompresa nel mentre. Se ripenso alla sera prima del volo: ore e ore a rigirarmi nel letto a fantasticare su quel viaggio, in un mix di impazienza e ansia che fa sembrare la notte infinita. E invece poi è un attimo quello che passa dai sogni ad occhi aperti nel letto, ormai totalmente spiegazzato per quel continuo girarsi e rigirarsi, al ritrovarsi catapultato nel posto immaginato e le ore trascorse in aereo, in confronto, sono secondi. Preziosissimi, come l’istante in cui vedi lui in coda allo sportello immigrazione nell’attesa del timbro sul visto turistico mentre tu stai esplodendo dalla voglia di abbracciarlo e ripensi a quanto è stupido quel girarsi e rigirarsi. È li che inizia la vacanza, quando finalmente mi sento liberata da quel peso di agitazione che mi imprigiona fino a quando sono insieme a lui. A quel punto scatta un altro modello di agitazione: quello di vedere più cose possibile, lottando con il tempo a disposizione. Nove giorni nel nostro caso, alla scoperta della Malesia, dell’Indonesia e di Singapore.

sabato 22 gennaio 2011

Le altre donne - di Concita De Gregorio

Osservo le ragazze che entrano ed escono dalla Questura, in questi giorni: portano borse firmate grandi come valige, scarpe di Manolo Blanick, occhiali giganti che costano quanto un appartamento in affitto. È per avere questo che passano le notti travestite da infermiere a fingere di fare iniezioni e farsele fare da un vecchio miliardario ossessionato dalla sua virilità. E’ perché pensano che avere fortuna sia questo: una valigia di Luis Vuitton al braccio e un autista come Lele Mora. Lo pensano perché questo hanno visto e sentito, questo propone l’esempio al potere, la sua tv e le sue leader, le politiche fatte eleggere per le loro doti di maitresse, le starlette televisive che diventano titolari di ministeri.
Ancora una volta, il baratro non è politico: è culturale. E’ l’assenza di istruzione, di cultura, di consapevolezza, di dignità. L’assenza di un’alternativa altrettanto convincente. E’ questo il danno prodotto dal quindicennio che abbiamo attraversato, è questo il delitto politico compiuto: il vuoto, il volo in caduta libera verso il medioevo catodico, infine l’Italia ridotta a un bordello.

Sono sicura, so con certezza che la maggior parte delle donne italiane non è in fila per il bunga bunga. Sono certa che la prostituzione consapevole come forma di emancipazione dal bisogno e persino come strumento di accesso ai desideri effimeri sia la scelta, se scelta a queste condizioni si può chiamare, di una minima minoranza. È dunque alle altre, a tutte le altre donne che mi rivolgo. Sono due anni che lo faccio, ma oggi è il momento di rispondere forte: dove siete, ragazze? Madri, nonne, figlie, nipoti, dove siete. Di destra o di sinistra che siate, povere o ricche, del Nord o del Sud, donne figlie di un tempo che altre donne prima di voi hanno reso ricco di possibilità uguale e libero, dove siete? Davvero pensate di poter alzare le spalle, di poter dire non mi riguarda? Il grande interrogativo che grava sull’Italia, oggi, non è cosa faccia Silvio B. e perché.

La vera domanda è perché gli italiani e le italiane gli consentano di rappresentarli. Il problema non è lui, siete voi. Quel che il mondo ci domanda è: perché lo votate? Non può essere un’inchiesta della magistratura a decretare la fine del berlusconismo, dobbiamo essere noi. E non può essere la censura dei suoi vizi senili a condannarlo, né l’accertamento dei reati che ha commesso: dei reati lasciate che si occupi la magistratura, i vizi lasciate che restino miserie private.

Quel che non possiamo, che non potete consentire è che questo delirio senile di impotenza declinato da un uomo che ha i soldi – e come li ha fatti, a danno di chi, non ve lo domandate mai? - per pagare e per comprare cose e persone, prestazioni e silenzi, isole e leggi, deputati e puttane portate a domicilio come pizze continui ad essere il primo fra gli italiani, il modello, l’esempio, la guida, il padrone.

Lo sconcerto, lo sgomento non sono le carte che mostrano – al di là dei reati, oltre i vizi – un potere decadente fatto di una corte bolsa e ottuagenaria di lacchè che lucrano alle spalle del despota malato. Lo sgomento sono i padri, i fratelli che rispondono, alla domanda è sua figlia, sua sorella la fidanzata del presidente: «Magari». Un popolo di mantenuti, che manda le sue donne a fare sesso con un vecchio perché portino i soldi a casa, magari li portassero. Siete questo, tutti? Non penso, non credo che la maggioranza lo sia. Allora, però, è il momento di dirlo