martedì 7 settembre 2010

Il mercato di Sanmen

La prima volta che ci ho messo piede è stata una sera della prima settimana. Il mercato “open air” di Sanmen è aperto a qualunque ora tutti i giorni del mese e andarci a fare la spesa si è rivelato emozionante quanto scalare la Grande Muraglia, perdersi nella Città Proibita di Pechino o sorseggiare tea (e moijito) nei pressi del Bund di Shanghai.

Il mercato di Sanmen è la Cina di campagna che si contrappone alla Cina occidentalizzata della grandi metropoli, anche se definirla città di campagna la sminuisce dal momento che a Sanmen vivono circa 500/600 mila abitanti; a Genova, me compresa, ne vivono circa 600 ed è capoluogo di regione. È chiaro che per i cinesi Sanmen è un paese se confrontata a Shanghai o Pechino, come del resto l’Italia è una piccola regione rispetto alla Cina.

Come tutte le novità, i primi giri al mercato mi hanno colta impreparata: ho rischiato svariate volte di essere investita da biciclette, tricicli a motore, risciò e taxi. Seppur a Sanmen non ci siano moltissime macchine, quelle che ci sono, oltre ad essere auto di ultima generazione, sono molto pericolose. Nessun mezzo che sia a due, tre o quattro ruote rispetta il pedone e ogni volta che si attraversa la strada meglio controllare almeno dieci volte tutte le direzioni. Questo vale per tutte le zone finora visitate, ma a Sanmen in particolare: ad avere la precedenza qui non è il pedone ma sono i veicoli. Perfino sulle strisce pedonali scordatevi di avere la precedenza, perché indipendentemente da quale punto vi troviate, i cinesi passano senza fermarsi e se per caso non siete voi a fermarmi aspettatevi una bella “clacsonata”! Anche questo però fa parte del fascino di paesi rurali come Sanmen, dove non ci sono ancora molte macchine e di conseguenza la consapevolezza della loro pericolosità è considerata solo in parte.

Il caos stradale della cittadina che mi ospita qui in Cina non è l’unica caratteristica che si è conquistata la mia attrazione perché una volta superati gli ostacoli dei mezzi a più di due ruote, giungere al mercato è stato come ritrovarsi nei racconti di mia nonna quando mi descriveva il mercato del suo paese da giovane. Questo paragone non vuole essere assolutamente una nota negativa ma è utile per descrivere quanto dal mercato si possa cogliere l’aspetto rurale che caratterizza questa città.

Popolato da una folla che sponsorizza a voce alta frutta e verdura, i “besagnin” di Sanmen mi scrutano con curiosità ma non mi privano mai di un sorriso o di un “hello”. Disposti in fila lungo la strada vendono per pochi renminbi pesce secco, tuberi, aglio, sedano, cipolla, e ogni genere di verdura sistemata ordinatamente nei carretti o direttamente sulla strada su un lenzuolo. Abituata a comprarli al Dì per Dì, fare la spesa qui è un’esperienza diversa ogni giorno: all’inizio capirsi era un’impresa ora invece con scioltezza giro tra i banchetti, ispeziono, scelgo i prodotti migliori e poi discuto come meglio riesco il prezzo perché trattandomi da straniera, lo aumentano sempre del doppio.

La carne invece meglio lasciarla agli abitanti del paese perché seppur i macellai vantino la propria merce, per noi “Dì per Dìddiani” risulta alquanto poco igienica. Disposta su travi di legno nelle bici/carrette, la carne è esposta al sole che qui porta le temperature fino a 40° e trasportata in giro per il mercato: ogni tanto si vedono passare cosciotti e zampe di maiale mentre si sta scegliendo un pezzo di tofu. Se la carne è poco sicura in termini igienici, stessa cosa non si può dire affatto dei pesci che, aimè, nuotando dentro a vasche rosse e quando si acquistano sono decisamente molto freschi: i pesci in Cina si vendono vivi. Dalle vongole, ai gamberi, alle lumache per non parlare poi dei granchi, adorati dai cinesi. Per me è una vera tortura. Ogni volta che attraverso “il reparto” dei pesci, ovvero una strada in cui sono disposti i pescatori che vendono il proprio “pescato” quotidiano, mi si stringe il cuore. Credo che i cinesi abbiano capito le mie intenzioni dalla faccia addolorata che faccio ogni volta che mi propongono un granchio o un gambero, vivo…per non parlare poi delle tartarughe.

Anche nei ristoranti, innumerevoli quantità di pesci sono esposte all’interno delle vasche. Il cliente sceglie il pesce e zac, botta in testa e pronto per essere cucinato. Purtroppo lo stesso non vale per i crostacei con i granchi che fanno la fine delle nostre aragoste: cucinate vive. Quindao in un ristorantino cantonese mangiavo riso con a fianco una vasta di rospi vivi.

Dopo il giro al mercato open air, meta fissa con la mia amica koreana/americana Seong è andare a curiosare nel “garage delle macchine da cucire”: disposti in fila e numerati dentro a questa sorta di magazzino, tanti box ospitano tessuti di ogni fantasia e colore, e donne impegnate a prendere misure dai corpi esili delle cinesi, tagliare e cucire le stoffe. Il costo per farsi fare un vestito si aggira intorno ai 60 rmb, circa 7€. Ovviamente il prezzo aumenta a seconda del tessuto che si sceglie e dal tipo di abito. L’abilità con cui queste sarte maneggiano la stoffa è davvero imbarazzante per me che non so neppure rammendare un calzino, seppur mia nonna abbia tentato svariate volte a insegnarmelo. Il piacere di girare tra i carretti del mercato di Sanmen è quello di poter scoprire una società in cui l’estremo consumismo non si è ancora totalmente intriso nelle abitudini della gente che come in Italia ha abbandonato piazze e mercati per i “non luoghi” quali sono centri commerciali.

Scritto il 20 agosto 2010

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