martedì 7 settembre 2010

Shanghai, capitale di un paese capitalsocialista

Shanghai non è la Cina ma è la contemporaneità di un paese che in una ventina di anni ha scoperto il libero mercato dal quale è scaturito uno sfrenato sviluppo economico e Pu Dong ne è la massima espressione. L’area divisa dal resto del città dallo Huang Pu ha origini recentissime. Secondo le guide locali i primi edifici che hanno popolato quella che prima era una steppa destinata alle coltivazioni, sono sorte intorno ai primi anni ’90. Difficile crederlo considerata la quantità dei grattacieli che lo popolano: ci si perde a cercarne la fine ma il divertimento a scoprirne forme e fantasie è unico. Gli architetti cinesi devono essersi proprio sbizzarriti a Pu Dong così come del resto in tutta Shanghai. Ho potuto provare l’ebbrezza di salire all’88° Piano della JinMao Tower ma più che una forte emozione, guardando al di sotto dei miei piedi attraverso gli oblò, sono stata colta da capogiri che mi hanno costretta a scendere immediatamente. Non credevo di soffrire di vertigine, sarà mica colpa dell’altezza?

L’esplosione di innovazione della Cina moderna non si registra solo nella grandi metropoli come Shanghai o Pechino. Spostandoci più a sud con il pulmino dell’azienda per la quale Richi lavora, lo scenario cambia e i bizzarri grattacieli cedono il posto a risaie, laghi e allevamenti di anatre. Umili case sparse qua e la, e ogni tanto qualche pagoda, animano la campagna dello Zheijang. Stupiscono forse più dei grattacieli di Shanghai, i mega hotel che spiccano tra le case diroccate ed è inevitabile non domandarsi a cosa serva un albergo a quattro stelle in questi piccoli paesi cinesi. Non sono ancora riuscita a trovare una risposta che mi soddisfi. Osservando però Audi di ultimissima generazione sfrecciare vicino a carretti carichi di materiali riciclabili, tricicli a motore semi distrutti e biciclette, capisco che le contraddizioni di cui parlavo nel precedente post si riscontrano anche nel divario tra ricchezza e povertà.

Il rapido sviluppo economico scatenatosi con il post Mao lo si ricolloca alla politica socialista, ribattezzata “alla cinese” di Deng Xiaoping che governò dal 1978 al 1992. Il successore del grande timoniere, applicò importanti riforme all’ereditata economia collettivista: liberalizzò il mercato incentivando il libero scambio, aprì i confini della Cina agli investimenti stranieri e all’esportazione della propria produzione, stimolando lo sviluppo locale sia industriale che agricolo. Tale corsa alla liberalizzazione ha fatto arricchire a dismisura chi è stato capace di prendere la palla al balzo allargando i propri possedimenti ma ha lasciato anche in uno stato di totale povertà il resto della popolazione succube dell’economia collettiva. Tale divario cresce in proporzione allo sviluppo economico. Ecco allora che in paesi come Sanmen coesistono le baracche e gli hotel a cinque stelle così come le Audi viaggiano nella stessa carreggiata di motorini e biciclette.

Scritto il 18 agosto 2010

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