martedì 7 settembre 2010

“Socialismo è grande”

Sull’aereo di ritorno da Quindao, città di mare della provincia dello Shandong, ho terminato il libro che mi ha accompagnato durante il mio primo mese in Cina, “Socialismo è grande” di Lijia Zhang. Come ogni libro che mi appassiona, ha lasciato un vuoto: mi sono affezionata talmente tanto alla rivoluzionaria scrittrice e giornalista di Nanchino, che ora mi manca. L’autobiografia di Lijia mi ha coinvolto e appassionato nel descrivere le sue avventure di operaia della Cina repressiva della Rivoluzione culturale, ma soprattutto mi ha guidato nel comprendere alcuni aspetti della mentalità di questo paese legato ancora da forti e persistenti tradizioni.

Nel corso della lettura del libro, ho potuto riscontrare quella realtà descritta con tanta passione da Zeijia proprio intorno a me, cogliendo caratteristiche e abitudini dei cinesi che senza l’aiuto della scrittrice non avrei mai potuto percepire. Devo ringraziare anche Alessandro, un cuoco bolognese che abbiamo conosciuto da “Cassani” un ristorante italiano di Quindao. Alessandro vive in Cina da tre anni e tra le curiosità da lui raccontate, riscontrate anche nel libro, mi ha interessato l’importanza del fidanzamento cinese.

In una società così ampiamente complessa con una presenza così massiccia di gente, spesso indifferente al prossimo, la famiglia diventa fondamentale per il benessere dell’individuo. Stando ai racconti del cuoco italiano, i cinesi sarebbero ossessionati dal conseguimento del matrimonio e dalla procreazione. Fin da giovanissimi, sia bambini che bambine, vengono educati a raggiungere tale scopo e il matrimonio diventa un obiettivo prioritario. A tal proposito mi viene in mente la mia stimata scrittrice, la cui nonna implorava dei e dee buddiste affinché la nipote non rimanesse zitella e ringraziandoli per la felice sorte dell’altra nipote, sistemata adeguatamente con un bel “partito cinese”.

Io credo nel matrimonio ma solo se visto da entrambe la parti, uomini e donne, come una promessa reciproca di rispettivo amore e fedeltà per il futuro. Laddove il vincolo matrimoniale riveste importanza prioritaria per l’emancipazione dell’individuo, com’è nella società Cinese, può diventare uno strumento che limita l’indipendenza femminile. Le leggi cinesi, per esempio, non permettono alla donna di ottenere un divorzio a meno che non riesca a dimostrare di subire maltrattamenti o in rari casi, un tradimento. All’uomo è “concesso” tradire la moglie ma se si verifica il contrario al marito non viene negata una separazione.

Non penso che questa distinzione tra uomo e donna possa rientrare in questione legate alla parità dei sessi, seppur in Cina non ci sia una totale uguaglianza in tema di diritti. Certo è che la Cina non è l’Islam e la donna è emancipata. Ritengo più che sia un fattore legato a quella contraddizione cinese di cui tanto mi piace parlare che in questo contesto si ripercuote negativamente sulla donna, sia che sia emancipata o meno. Qui in Cina, così come la donna non può chiedere il divorzio, salvo in rarissime occasioni, non può neanche abortire a meno che non sia sposata e i vincoli legislativi non lo consentano (in molte aree della Cina vige il controllo sulle nascite, di conseguenza l’aborto viene anche obbligato). Qualora una ragazza non sposata si ritrovi in stato interessante e sola, le cause sono veramente drammatiche perché viene ripudiata dalla società, dalla famiglia e non le è permesso sposarsi. Allo stesso modo, se decide di portare avanti la gravidanza, il figlio non risulterà come cittadino cinese: il governo non ammette il sesso prima del matrimonio e un figlio avuto da una relazione esterna al matrimonio è nato da un reato e non viene considerato cinese. Ma allora cosa significa famiglia per i cinesi? Un contratto che due persone fanno con il governo e non con loro stessi.

Scritto il 25 agosto 2010

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